Francesca Comunello è una sociologa e professoressa di comunicazione presso l’università La Sapienza di Roma. Ci ha parlato dell’utilizzo delle piattaforme da parte dei politici e degli effetti sociali di Facebook e Twitter.
Che importanza hanno i social per la comunicazione politica?
Certamente oggi a livello occidentale i social, grazie al numero elevato di utenti, hanno un ruolo rilevante nella comunicazione. Molti politici ormai usano Facebook e Twitter che consentono una forma di comunicazione almeno apparentemente disintermediata. Il politico che si fa ritrarre mentre mangia, in ambiti e momenti della vita quotidiana, è significativo. La possibilità è quella di entrare in comunicazione con le audience bypassando le forme di comunicazione tradizionali del giornalismo e distinguendo tra la propria sfera pubblica e privata.
Cosa ne pensa, a livello etico, dell’espulsione di Donald Trump dai social?
Questa è una questione estremamente complessa e va approfondita. Ci sono delle condizioni d’uso alle quali, giuste o sbagliate che siano, ciascuno di noi acconsente quando accede ad un social. Quindi anche lo stesso Trump si era impegnato a rispettarle. Ma questa è solo una parte del problema: c’è una questione che riguarda lo statuto che queste piattaforme hanno nelle democrazie occidentali. Mi viene in mente un fatto discusso nel nostro Paese quando Facebook aveva sospeso l’account di Casapound per violazione delle condizioni d’uso. I magistrati in quel caso avevano scritto che bisognava partire dal presupposto che Facebook avesse una funzione paragonata a quella di un servizio pubblico. Consentire o meno ad un partito politico di accedere o meno ad una piattaforma significa togliergli una fetta significativa di voce. Se invece di bannare Trump, gesto che da parte nostra osservatori democratici è stato almeno istintivamente visto di buon occhio, ospitassero solo idee molto estreme, allora certamente avremmo un problema di democrazia.
Facebook ha una policy diversa? A differenza di Twitter non ha eliminato i post fuorvianti di Trump in campagna elettorale.
Twitter è una piattaforma che viene usata in modo più diretto ed esplicito nell’ambito della comunicazione politica e del dialogo tra giornalisti e politici prima ancora che con i semplici utenti. Facebook invece è una piattaforma molto diversa per modelli di utilizzo prima che per le policy ed è stata più cauta. Poi un conto è censurare un presidente degli Stati Uniti che istiga a delinquere, un altro è censurare chi diffonde notizie false sul Covid. Fermo restando che nell’ambito del dibattito politico non parliamo di notizie vere o false ma di interpretazioni. E questo è uno dei cavalli di battaglia che circondano Trump: la creazione di una realtà alternativa.
Che seguito hanno a livello sociale i contenuti pubblicati dai politici?
Qui vedo almeno due questioni: la prima è tutto ciò che ha a che fare con la notiziabilità. Certamente le notizie più inattese, che escono dall’ordinario, sono lette e condivise di più. L’altra questione è il cosiddetto confirmation bias, ovvero l’idea che noi andiamo in maniera sistematica a cercare le conferme di ciò che già sappiamo e crediamo. E questa non è una cosa che si sono inventati i social ma una tendenza insita nell’essere umano. La questione allarmante riguarda la fake news perché i social hanno notevolmente amplificato questo processo. I motori di ricerca ci offrono dei risultati personalizzati. Il sistema funziona in questo modo ma gli utenti lo ignorano.