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La guerra siriana si allarga: l’intervento di Hezbollah apre allo scontro diretto sciiti-sunniti in Medio Oriente

di marco.potenziani22 Maggio 2013
22 Maggio 2013

Truppe fedeli al presidente siriano Bashar al-Assad con l’appoggio dei miliziani filo-iraniani di Hezbollah hanno ricatturato la città siriana di Al-Qusair, un centro strategico poco distante dall’autostrada che collega la capitale Damasco con il Libano. Ma uno degli elementi chiave dei combattimenti è forse un altro: secondo quanto sostengono i guerriglieri che tentano di rovesciare il regime di Assad negli scontri sarebbero morti una ventina di soldati dell’esercito e addirittura una trentina di militanti di Hezbollah, una circostanza che confermerebbe il coinvolgimento sempre più profondo della milizia nel conflitto. La guerra siriana è sempre meno un affare interno al popolo di Damasco e sempre più un conflitto regionale, capace di riaccendere l’atavico scontro tribale tra sciiti e sunniti. Così, gli obiettivi strategici e militari si spostano e si ampliano, mirati più a ridisegnare i confini della regione intera che a vincere la singola battaglia. Le voci di un piano iraniano per fermare la caduta dell’alleato storico, coinvolgendo il movimento sciita libanese e minacciando di riaprire il fronte del Golan contro Israele, sono state riportate anche dal quotidiano panarabo al Hayat, che ha citato «fonti bene informate a Teheran». Proprio negli stessi giorni in cui Assad ordinava di puntare le batterie di missili terra-terra contro Tel Aviv, avvertendo Israele che, in caso di  attacchi mirati a siti e depositi sospetti, avrebbero reagito.
Complicazioni internazionali. Alla Casa Bianca, Obama è preoccupato per la destabilizzazione dell’area e, ricevendo il presidente libanese Michel Suleiman, si è detto allarmato «per il ruolo attivo e crescente di Hezbollah  in Siria». Ma la piega presa dal conflitto sembra inarrestabile. Il premier israeliano Benjamin Netanyhau ha ribadito che «sarà fatto tutto il possibile», per bloccare il flusso di armi agli sciiti. In Siria, il fronte più infuocato dello scontro settario è infatti quello occidentale, che sistematicamente travalica in Libano, e di qui in Israele. Si stringe la morsa degli interessi attorno alla vicenda siriana: le monarchie sunnite del Golfo, che finanziano i ribelli per estendere il proprio controllo sull’area si fronteggiano con l’Iran di stretta osservanza sciita, appoggiato dalla Russia che sgomita per rimettere un piede in Medio Oriente, e nel mezzo sta Israele che l’America non può abbandonare in nessun caso. Da mesi si parlava di pasdaran sciiti di stanza nelle zone del fronte ma dopo l’azione militare a Qusayr, la guerra sotterranea per l’egemonia della regione tra la teocrazia iraniana e le monarchie wahabite dell’Arabia Saudita e del Qatar (che ha già fornito ai ribelli 3 miliardi di dollari di aiuti) è venuta chiaramente alla luce.
La diplomazia al lavoro. Della Siria hanno parlato il 20 maggio in una conversazione telefonica anche il presidente del Consiglio, Enrico Letta, e il presidente Obama, che, secondo una nota diffusa da Palazzo Chigi, «hanno concordato sulla necessità di favorire uno sbocco pacifico della crisi attraverso un’iniziativa della Comunità internazionale in grado di coinvolgere i principali attori regionali». Meno diplomaticamente il ministro degli Esteri britannico, William Hague, ha avvertito che «nessuna opzione sarà esclusa» se il governo siriano non sarà disposto a collaborare seriamente per la conferenza di Ginevra.

Marco Potenziani

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