A Hong Kong, Pechino espelle quattro deputati del Civic Party. Il governo cinese spiega che “coloro che promuovono o sostengono l’indipendenza di Hong Kong e rifiutano di ammettere l’esercizio della sovranità della Cina sulla città sono considerati non conformi al requisito di giurare fedeltà alla Regione amministrativa speciale”.
L’espulsione dei quattro è stata decisa dopo che 19 deputati del fronte pan-democratico hanno minacciato la secessione dell’Aventino lunedì. Dimissioni minacciate, perché era trapelata la notizia che i quattro colleghi sarebbero stati cacciati dalla LegCo, cioè il parlamento locale. Oggi, dopo l’ufficialità dell’esclusione dei quattro, i 19 deputati sono passati dalle parole ai fatti, dichiarando in conferenza stampa che presenteranno le loro dimissioni.
Risultano, comunque, delle incongruenze nel processo decisionale. L’agenzia Xinhua dichiara che la risoluzione approvata da Pechino è stata promossa con un’esplicita richiesta dalla governatrice Carrie Lam. Quest’ultima, nella conferenza stampa odierna afferma, invece, che la sua amministrazione aveva chiesto solo un consiglio a Pechino data la posizione particolare in cui si trovavano i quattro deputati. Era stato vietato loro di candidarsi alle elezioni politiche di settembre, poi rimandate di un anno a causa della pandemia, rimanendo nel parlamento.
“Non possono sinceramente giurare di sostenere la Basic Law (la Costituzione locale, ndr) e invocare la fedeltà a Hong Kong”. Questo è ciò che ha portato la governatrice della zona a chiedere consiglio a Pechino. Sempre in conferenza stampa, Lam ha affermato che doveva essere ricercata una soluzione.
Con questa decisione il Comitato permanente di Pechino ha chiarito che i quattro deputati non possono essere qualificati come legislatori. Con le dimissioni dei 19 membri del partito il clima nell’ex colonia britannica torna a farsi pesante.