Sale la tensione tra Cina e Hong Kong con gli Stati Uniti e l’Australia che non restano a guardare. Al centro dello scontro che ha visto scendere in piazza nei giorni scorsi migliaia di manifestanti in protesta a Hong Kong con oltre 300 arresti è la nuova legge sulla sicurezza nazionale che la Cina ha deciso di imporre alla città. Il Congresso nazionale del popolo, ovvero il ramo legislativo del Parlamento cinese ne ha dato oggi ufficialmente il via libera all’adozione. Nella stessa sessione tra l’altro la Cina ha anche approvato il primo Codice civile della sua storia. Tornano alla legge, essa prevede l’imposizione all’ex colonia britannica di una controversa disposizione che punisce secessione, sovversione del potere statale, terrorismo, interferenza straniera e atti generici che mettano a rischio la sicurezza nazionale imponendo così un giro di vite sulle libertà. Le associazioni dei diritti civili e degli avvocati sostengono che la legge costituisca una violazione del principio di autonomia legislativa e dello slogan “un Paese, due sistemi” garantito dagli accordi fino al 2047 dopo il passaggio della città dal Regno Unito alla Cina nel 1997.
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo in una nota aveva usato toni durissimi contro il Dragone affermando che Hong Kong “non è più autonoma dalla Cina” aggiungendo di essere a “fianco della popolazione” della città. La governatrice di Hong Kong Carrie Lam, vicino ai vertici cinesi, ha affermato che non c’è motivo di preoccuparsi e anzi a detta sua la città aveva bisogno di una legge del genere mentre il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha dichiarato che la Cina “prenderà le necessarie contromisure contro le forze esterne che interferiscono su Hong Kong”.
Intanto dall’Australia, storico alleato degli Usa, continua il tentativo di riaffermare la libertà di navigazione nel Mar Cinese meridionale dove la Cina ha anche installato un potente sistema di missili terra-aria. L’ammiraglio americano nell’Asia-Pacifico Philip Davidson ha descritto come “perniciosa” la condotta della Cina nell’occupare e fortificare isolotti in quell’area contestata, reclamata da diversi stati asiatici ma Pechino la rivendica come proprio territorio nonostante la posizione contraria della Corte Internazionale di Arbitrato.
Infine il premier cinese Li Keqiang al termine dei lavori del Congresso nazionale del popolo ha affermato che Pechino intende promuovere “la riunificazione pacifica” della Cina tracciando così le politiche che riguardano anche l’isola di Taiwan.