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HomeCronaca “L’indice RT è impreciso”: l’allarme di GIMBE sul dato che decide sulle riaperture

"L'indice RT è impreciso"
L'allarme di GIMBE sul dato
che decide sulle riaperture

Cartabellotta: "Ridimensionarne l'uso

è poco utile, non fotografa l'epidemia"

di Federico Marconi27 Maggio 2020
27 Maggio 2020

A nurse holds screw cap tubes after performing blood samples on an urban policeman, as part of a serological test for COVID-19 on May 6, 2020 at the Capitoline Hill (Campidoglio) municipal building in Rome, during the country's lockdown aimed at curbing the spread of the COVID-19 infection, caused by the novel coronavirus. (Photo by Vincenzo PINTO / AFP)

Sono 21 gli indicatori che il Ministero della Salute tiene sotto occhio per decidere sulle nuove riaperture e sugli spostamenti tra le regioni.
Tra questi c’è l’ormai noto R0, un dato statico sulla contagiosità del coronavirus al netto dell’immunità delle persone (che in assenza di vaccino, si presuppone sia zero).
E poi ce n’è un secondo, l’indice RT. Si tratta di una misura dinamica, che si riduce via via che il decorso dell’epidemia diminuisce il numero delle persone che si possono ammalare, per via dei “casi chiusi” (morti o guariti) e delle misure di contenimento adottate, come il distanziamento sociale.
Il significato di R0 e RT è lo stesso: il numero medio delle persone che possono essere contagiate da un infetto.

C’è però più di qualche dubbio sull’utilità di RT, sollevato dalla Fondazione GIMBE. “Il valore di RT inserito tra gli indicatori del Ministero della Salute per il monitoraggio della fase 2, è stato trasformato in un numero magico su cui fare classifiche, previsioni e addirittura prendere decisioni politiche regionali senza considerarne i limiti intrinseci e le criticità che ne influenzano il calcolo nel nostro contesto nazionale, dove continua a mancare un’adeguata base di dati”, dichiara in un comunicato il presidente Nino Cartabellotta.

GIMBE ritiene necessario “ridimensionare” il valore dell’indice RT perché fotografa la situazione epidemiologica dei 15 giorni precedenti. Questo perché l’indicatore non può essere accurato data la politica dei tamponi adottata dai governi nazionale e regionali, e perché si basa solo sul 30 per cento dei casi riportati dalla Protezione civile, rapportati alla raccolta dati della regione che ne ha prodotti di meno.

“Le nostre valutazioni indipendenti confermano che il dibattito politico e scientifico si sta concentrando su un indice molto variabile, condizionato dalla qualità dei dati, non tempestivo (l’ultima stima riflette ancora la fase di lockdown), calcolato su meno di un terzo dei casi confermati dalla Protezione civile e influenzato dalle notevoli differenze regionali nell’esecuzione di tamponi diagnostici”, conclude Cartabellotta, chiedendo il ridimensionamento dell’utilizzo dell’indicatore.

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