Da oggi, per la prima volta dopo 72 giorni, si percepisce un clima di cauto ottimismo intorno al calcio italiano. Dopo l’ok del Comitato tecnico-scientifico al protocollo sanitario presentato dai club, possono infatti riprendere le sedute di allenamento di gruppo; una prima tappa fondamentale in vista del 13 giugno, data indicata per la ripartenza della Serie A dopo lo stop imposto al campionato a causa del Covid-19. Un esito positivo per nulla scontato in questi mesi in cui spesso si è pensato che la chiusura anticipata delle competizioni calcistiche nazionali fosse la soluzione più probabile, seguendo l’esempio di Paesi come Francia, Olanda e Belgio che hanno dichiarata conclusa la stagione.
Condivide l’ottimismo il presidente della Uefa, Aleksander Ceferin, che in un’intervista al Guardian sostiene che il calcio “è pronto a ripartire, seguendo le raccomandazioni delle autorità, ma presto anche alla presenza dei tifosi tornerà”. Ceferin si dice anche certo del fatto che “gli europei si terranno nel 2021”, perché “il virus non durerà per sempre e non credo a questa versione apocalittica secondo la quale dobbiamo aspettarci una seconda, una terza o una quinta ondata”. Su un’eventuale cambiamento del calcio causato dal Coronavirus il presidente dell’Uefa poi si dice scettico: “Non è cambiato dopo le Guerre mondiali, non cambierà dopo il virus”. E se proprio cambiamento dovrà esserci “allora perché non pensare che sarà migliore? Ci sono sempre lezioni da imparare”.
Intanto un campionato importante è ripartito sabato scorso: la Bundesliga in Germania. E ha fornito delle prime parziali indicazioni su quanto e come lo stop causato dalla pandemia possa influire sull’andamento delle partite. Si è tirato e segnato di meno, ci sono stati meno contrasti e soprattutto c’è stato un crollo del 25% dei dribbling tentati. Molto probabilmente alla base di questa diminuzione delle statistiche c’è il fatto che le gambe dopo quasi due mesi di inattività sono imballate, che c’è meno fiducia del giocatore, disabituato al ritmo partita, nel tentare la giocata causata, ma c’è anche la possibilità che, seppur inconsciamente, la paura del contagio induca gli atleti a maggiore prudenza.