“Se si fosse approvata la riforma costituzionale del 2016, proposta dal governo Renzi, oggi non ci sarebbero molte questioni sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Queste ultime avrebbero avuto peso in Parlamento e sarebbero state coautrici delle norme, evitando i problemi che abbiamo visto nelle ultime settimane, e che hanno dato adito alle polemiche politiche. Si deve anche dire però che la situazione in cui stiamo vivendo oggi è eccezionale, e le problematiche sono scaturite anche nel modo in cui si è deciso di affrontarla”. Angelo Rinella, professore ordinario di diritto costituzionale dell’Università Lumsa di Roma, spiega i motivi delle numerose polemiche tra governo centrale e amministrazioni regionali durante l’epidemia di coronavirus.
Professore, perché il rapporto tra governo centrale e regionale definito all’inizio degli anni Duemila ha creato molte questioni durante l’emergenza sanitaria?
“Con il Titolo V, così come è stato scritto nel 2001, era stata stabilita una divisione di competenze tra Stato e Regioni problematica. Non bisogna dimenticare che dopo la riforma, la Corte Costituzionale ha dovuto dirimere numerosissimi conflitti tra governi centrali e governi periferici”.
Conflitti che sono emersi con molta forza nelle ultime settimane, come dimostrano i casi De Luca e Santelli, che si sono allontanati dalle direttive di Palazzo Chigi.
“Ma l’articolo 117 della nostra Costituzione dice che la tutela della salute dei cittadini è materia di competenza concorrente, quindi sia lo Stato che le Regioni hanno voce in capitolo”.
In che modo?
“Lo Stato, il governo centrale, deve scrivere una legge cornice, le Regioni poi sono dovute alla cosiddetta disciplina di dettaglio, con norme che spieghino e attuino la legge cornice. In questa situazione di emergenza, il governo ha utilizzato i decreti legge per tutelare principalmente la salute dei cittadini, con ricadute pesanti, come abbiamo visto, su tutti gli altri diritti. Ma spetta solo agli atti aventi forza di legge, quindi a quelli di governo e Parlamento, comprimere le libertà e i diritti in stati di necessità come questo.
Come si è cercato di superare il problema?
“C’è stato un cambio di passo tra Fase 1 e Fase 2. All’inizio dell’emergenza, il governo ha utilizzato lo strumento, ormai noto a tutti, dei Dpcm: ovvero atti normativi dettati direttamente dal presidente del Consiglio, senza un passaggio parlamentare successivo. Dpcm che sono andati in questioni di dettaglio non specificate dai decreti legge che ne hanno autorizzato l’uso. Fatto che ha creato qualche problematica sul piano costituzionale”.
E con la Fase 2?
“La situazione è cambiata, anche dopo un’azione coordinata delle Regioni. Ora il Decreto rilancio dà una legge cornice, ma poi rimette alle Regioni i dettagli della normativa, tornando a una situazione di normalità. Il decreto però è stato accolto in modo diverso da regione a regione: c’è chi è contento di avere più autonomia, chi ha paura di avere più responsabilità sulla tutela della salute dei cittadini.
È necessaria una riforma secondo lei?
“Sì, una riforma sarebbe necessaria perché il riparto di competenze non è nitido e non evita conflitti di attribuzione Stato-Regioni. Conflitti che sarebbero stati evitati con la riforma costituzionale del 2016: la presenza delle Regioni nella seconda Camera avrebbe permesso di attribuirgli responsabilità nell’ambito normativo ed evitare problemi successivi”.