“La musica ci cambia la vita e ci salva. Le persone che vengono ospiti da me, entrano da personaggi e escono da persone. La bacchetta mi aiuta a mascherare il dolore e non è una cosa da poco”. Parole di Ezio Bosso, morto stanotte a 48 anni. L’evento era una serata, Che storia è la musica, andata in onda a giugno, incentrata sulla Quinta e la Settima Sinfonia di Beethoven. A sentire le sue parole furono oltre un milione di spettatori.
Il direttore d’orchestra, compositore e pianista torinese, dal 2011 soffriva di una malattia neurodegenerativa. Lo scorso settembre Bosso ha abbandonato il pianoforte perché le sue dita non rispondevano più bene. Ma il maestro non si è mai arreso. Un sorriso mai accennato ma sempre ben evidente sul suo volto, un coraggio e una forza di volontà come compagni di strada e colonna sonora della sua vita.
Niente più pianoforte, ma avanti con la sua orchestra, la Europe Philharmonic, con cui lo scorso gennaio aveva tenuto le ultime serate all’insegna di Beethoven e Strauss al Conservatorio di Milano per la Società dei Concerti.
Guardare i suoi concerti era un’esperienza straordinaria perché si poteva respirare tutta la sua passione e l’amore per la musica, senza pause, senza accontentarsi.
Ezio Bosso è diventato popolare nel 2016 quando è stato invitato da Carlo Conti come ospite d’onore al Festival di Sanremo. Sul palco dell’Ariston ha eseguito Following a bird, composizione contenuta nell’album The 12th Room, che dopo quell’esibizione finì subito in classifica. “Sul palco sono senza spartito, faccio tutto a memoria. Quando dirigo è come se avessi tutti i suoni scritti, primi e secondi violini, violoncelli, bassi, flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, percussioni, io li ho davanti, per me è un contatto visivo, dirigere con gli occhi, con i sorrisi, mando anche baci quando qualcuno ha fatto bene”.