Prosegue il calvario italiano di Silvia Romano, la giovane cooperante milanese rapita diciotto mesi fa in Kenya e tenuta prigioniera in Somalia dal gruppo jihadista di Al-Shaabab. Il suo ritorno in Italia, avvenuto domenica scorsa, ha innescato un vespaio di polemiche politiche, insulti sui social e perfino alcune bottiglie di vetro scagliate contro casa.
Alla base di questa indecente campagna d’odio contro una venticinquenne, appena tornata a casa dopo un anno e mezzo di prigionia, il presunto riscatto versato dai servizi segreti italiani ai terroristi somali e la conversione religiosa di Silvia Romano, atterrata all’aeroporto militare di Ciampino con l’abbigliamento di una donna islamica e presto dichiaratasi Aisha, suo nuovo nome dopo il cambio di religione.
Il riscatto versato al gruppo di Al-Shaabab per liberare Silvia, stimato intorno dalla stampa intorno ai quattro milioni di euro, non è stato confermato dal governo ma ha riproposto il dibattito sulla liceità di qualsiasi trattativa con i terroristi e sul rischio che questi soldi vengano poi utilizzati per ulteriori violenze. Lo stesso sedicente portavoce del gruppo jihadista somalo ha confermato questo modus operandi a Repubblica.
Inoltre la conversione all’Islam ha reso Silvia Romano oggetto di una campagna d’insulti e assurdi retroscena, nella rappresentazione della ragazza alla stregua di una complice dei suoi stessi sequestratori. In questo filone si sono distinti i quotidiani di destra e il deputato leghista Alessandro Pagano che alla Camera ha definito Silvia Romano una “neo terrorista”. Il leader della Lega Matteo Salvini questa mattina ha corretto il tiro, spiegando che il problema non è la ragazza ma l’uso che di lei ha fatto il governo, autore di uno “spottone ai terroristi”. Il capo del Carroccio ha proposto l’abolizione di qualsiasi riscatto per i rapiti all’estero.
All’onorevole Pagano ha replicato oggi l’ex Presidente della Camera Laura Boldrini che in un intervento in aula ha definito “deplorevoli” le parole del collega e ha definito Silvia Romano “ostaggio degli odiatori e vittima della misoginia di questo Paese”.
Ma oltre i duelli politici ci sono le parole violente della rete, come le pesanti offese ricevute da Silvia Romano sui social network. La Procura di Milano ha aperto un fascicolo per minacce aggravate. La giovane è stata ascoltata come parte offesa dal comandante del Ros Andrea Leo che insieme ai suoi uomini è stato incaricato dal responsabile dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili di indagare sulle minacce. I carabinieri probabilmente sentiranno anche il padre e altri famigliari della cooperante. Intanto prosegue l’analisi da parte degli inquirenti sulle decine e decine di messaggi offensivi rivolti online alla ragazza. Prevista una scrematura, per concentrare le indagini sulle intimidazioni più gravi e valutare eventuali rischi concreti e non soltanto virtuali.
Ieri sono stati trovati alcuni cocci di vetro accanto a una finestra del palazzo dove la ragazza è andata a risiedere con la famiglia. Il sospetto è che si tratti dei resti di una bottiglia lanciata contro l’abitazione della Romano. La scientifica sta facendo degli accertamenti. La famiglia intanto ha chiesto alla stampa di lasciare in pace la ragazza, che sul suo profilo Facebook ha espresso gioia per la sospirata reunion famigliare e un ringraziamento ad amici ed estranei per il supporto. «Sono felice – si legge – perché ho ritrovato i miei cari ancora in piedi, grazie a Dio, nonostante il loro grande dolore. Perché ho ritrovato tutti voi pronti ad abbracciarmi. Ho sempre seguito il cuore e quello non tradirà mai. Non vedevo l’ora di scendere da quell’aereo, perché per me contava solo riabbracciare le persone più importanti della mia vita, sentire il loro calore e dirgli quanto le amassi, nonostante il mio vestito».
Ma il palazzo resta presidiato dalle forze dell’ordine, perché evidentemente Silvia-Aisha, dopo un anno e mezzo di prigionia in balia dei terroristi in Somalia, non è del tutto al sicuro neppure nel suo Paese.