Cresce senza freni la tensione in Libia. La guerra tra l’esercito governativo di Fayez Al-Serraj e gli uomini del generale Khalifa Haftar sembra essere arrivata a un punto di non ritorno. Da giorni i bombardamenti su Tripoli da parte delle truppe di Haftar sono diventati più insistenti, con l’obiettivo di rendere inutilizzabile l’aeroporto di Mitiga, l’unico rimasto attivo in città. Soltanto ieri, la pioggia di razzi piovuti sulla città ha ucciso quattro civili, tra cui un bambino.
Una risposta alla controffensiva lanciata dal governo di accordo nazionale, che nelle ultime tre settimane ha ribaltato lo scenario di guerra a favore dell’esercito di Serraj. L’operazione ha permesso la riconquista di molti villaggi strategici, che vanno da Tripoli fino al confine tunisino e di stringere l’assedio attorno alla strategica base militare di Al-Watyia, da cui partono gli aerei che bombardano Tripoli.
Un ribaltamento inatteso, che ha convinto i sostenitori stranieri dei due schieramenti a rinforzare il sostegno ai rispettivi alleati. Gli Emirati Arabi, che hanno investito molto in termini politici ed economici per sostenere Haftar, hanno trasferito sei caccia Mirage 2000 al confine egiziano con la Libia. Proprio dall’Egitto transitano ogni giorno tonnellate di rifornimenti militari, che arrivano indisturbati in Cirenaica a rinforzare l’esercito del generale. Aiuti importanti arrivano anche dalla Russia, che in Siria sta addestrando miliziani, pronti a partire in sostegno di Haftar in caso di un’ulteriore escalation.
Curioso che in Siria si preparino anche le truppe a sostegno dello schieramento del presidente Serraj, stavolta con la supervisione del principale alleato governativo, la Turchia. Dalle fregate di Ankara, ormeggiate al largo del porto di Tripoli, partono ogni giorno droni di ricognizione sulla capitale. Il ministro degli Esteri di Erdogan ieri ha nuovamente sanzionato Khalifa Haftar, avvertendo che se gli attacchi agli interessi turchi in Libia continueranno, le truppe della Cirenaica diventeranno “obiettivi legittimi”.
Il rischio di vedere in guerra i Paesi dell’area mediorientale sullo scenario libico è sempre più concreto e al momento nessuno pare intenzionato a fare un passo indietro.