Da un lato, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte che “rifarebbe tutto uguale”, dall’altro il leader di Italia Viva, Matteo Renzi che qualifica l’ultimo dpcm come “uno scandalo costituzionale”. In mezzo Nicola Zingaretti, segretario del Pd, che suggerisce di “affidarsi alle curve epidemiche per riaprire bar e ristoranti”, mettendo in discussione la data del primo giugno per la ripartenza. E poi il capo politico del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, che accusa i critici, che dovrebbero discutere di come attuare le misure adottate, invece di screditarle. Sembra la guerra delle opposizioni, invece è ciò che avviene dentro la maggioranza di governo.
Certo è che se da Pd e Movimento arrivano affondi in punta di fioretto, Matteo Renzi si arma di clava per distruggere quello che il presidente del Consiglio e la sue task force hanno modellato nell’ultimo decreto. Dalle pagine di Repubblica partono attacchi ecumenici e un appello alla parlamentarizzazione del decreto presidenziale: “Non possiamo calpestare i diritti costituzionali. Trasformiamolo in un decreto e portiamolo in Parlamento” (un segnale accolto dal Pd che questa mattina ha presentato un emendamento al decreto 19 in Commissione Affari costituzionali della Camera, che prevede un parere preventivo delle Camere al Dpcm). Poi arrivano le critiche sulla mancata regionalizzazione della Fase 2: “Se in Umbria o Alto Adige non ci sono contagi queste regioni non possono avere le stesse restrizioni della provincia di Piacenza”. Infine se la prende con il premier in persona: “Non può impattare sulla vita delle persone al punto di definire con dpcm chi puoi vedere”.
Conte, d’altro canto, prosegue sicuro sulla sua linea. Oggi in un’intervista alla Stampa ha ribadito che la bussola “che guida l’ azione e le scelte del governo sono le valutazioni che hanno e devono continuare ad avere una base scientifica. È mio dovere attenermi a questa – aggiunge -. C’è una certa rigidità del comitato tecnico-scientifico, ma, se c’è, è sulla base della letteratura scientifica sui contagi che loro hanno a disposizione”.
Malcontenti però arrivano anche dalle forze locali e dalle regioni. La Suedtiroler Volkspartei minaccia di interrompere “qualsiasi collaborazione con il governo”, se Roma non dovesse accogliere la decisione di Bolzano di seguire un percorso autonomo per la Fase 2. Richieste di differenziare le riaperture arrivano anche dalla Sicilia e dal suo governatore, Nello Musumeci: “Dal governo centrale ci aspettavano una maggiore apertura e meno contraddizioni. Noi in Sicilia abbiamo le idee chiare: coniugare la linea della prudenza con quella della ripartenza – e sottolinea – misure che potevano andare bene per il Nord non vanno bene al Sud e viceversa.