“Finora è anche normale che lo Stato abbia pensato ‘ad altro’, ma adesso tocca a noi”. A reclamare attenzione è Vincenzo Spera di Assomusica, l’associazione italiana degli organizzatori e dei produttori di musica dal vivo. Con il lockdown dei concerti che si protrarrà verosimilmente per un anno, insieme alle altre associazioni di categoria ha parlato di un settore in ginocchio, di un miliardo di euro di perdite per l’estate e di come salvarlo.
Che peso ha lo stop della musica dal vivo?
«Ormai è certo che saremo gli ultimi a ripartire. Se possibile, speriamo in una riapertura graduale, che inizi da teatri e piccoli locali. Siamo sempre stati sottovalutati dalle istituzioni, ma ora che siamo fermi qualcuno si sta finalmente rendendo conto della nostra importanza. Che non è solo ricreativa, aggregativa e socio-culturale, ma ha grandi riflessi economici. Quando c’è un concerto, generiamo un indotto che vale due, tre volte gli incassi dell’evento stesso. E questo è fondamentale».
Se ci si fermasse per un anno chi, all’interno della filiera della musica dal vivo, ne sarebbe il più colpito?
«Tutti, in proporzione. Che sia il facchino, il tecnico del suono o chi organizza. Perché è un settore in cui non c’è certezza di lavorare 365 giorni l’anno per la sua stessa natura. È un lavoro da nomadi, da gente che ‘si muove’. Qui tutto dipende dagli artisti e dalla loro creatività: se non “creano”, non c’è concerto, non c’è niente. E nella filiera si trova di tutto: dall’autonomo al dipendente, fino a chi lavora a chiamata. Con questa burocrazia, diventa difficile individuare tutti. Il punto è che in molti lavorano con un contratto a intermittenza. E loro sono stati finora esclusi dagli aiuti dello Stato. Vivono in una sorta di precariato, perché non hanno partita Iva né dipendenza, che garantirebbe loro sussidi o cassa integrazione. Noi li chiamiamo gli “invisibili” del settore, perché non finiscono mai nei grandi contratti di lavoro. Ma sono certo che nei prossimi decreti, anche grazie al nostro impegno, saranno ricompresi tra i beneficiari dei provvedimenti. Sarebbe inumano il contrario, diciamocelo».
Qual è il pensiero dietro le dieci proposte per il Governo che avete raccolto insieme alle altre associazioni di categoria?
«Che siamo tutti connessi, e dobbiamo agire insieme. Siamo degli “aggregatori” di mestiere. Poi, servono a ribadire soprattutto che il nostro è un lavoro in cui non si ammettono ritardi – ergo dobbiamo avere certezze di quando si riparte. Ci è richiesta sempre organizzazione. Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, invece, chiediamo un reddito d’emergenza per gli “invisibili” e una detassazione fiscale dell’Iva fino al 4% per gli operatori del settore, che non si capisce perché non ci sia ancora in Italia. E poi aiuti per gli autori e i musicisti che vivono della loro arte dal vivo, e non avranno più da lavorare. Agiamo così, altrimenti rischiamo di scomparire».
C’è un futuro alternativo per i concerti?
«Finché non c’è un disegno certo per la ripartenza, non si può neanche prevedere cosa fare e cosa no. Certo è che qualcosa andrà ripensato, come in tutti i settori. Fermo restando che i concerti hanno delle determinate caratteristiche difficili da aggirare senza snaturarli».