Il numero dei contagiati dal coronavirus in Italia per la prima volta diminuisce. Ma mentre si pensa alla “Fase 2”, a come ripartire dopo la chiusura totale, sono proprio i dati a contribuire alla spaccatura del Paese. Il dubbio è come procedere alle riaperture, in una Italia dove ci sono situazioni diverse da regione a regione.
“Si può ragionare su una regionalizzazione delle aperture: nelle zone con un numero inferiore di persone positive è più facile valutare la catena dei contatti”, questa era stata, un paio di giorni fa, l’ipotesi del ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Non è d’accordo il governatore della Lombardia Attilio Fontana che prevede “un’Italia zoppa” qualora la Fase 2 dovesse iniziare prima in alcune regioni e poi in altre. Dello stesso avviso è Giulio Gallera, assessore al Welfare lombardo: “Sulle riaperture ci vuole una strategia nazionale. Tenere insieme il Paese è la cosa migliore”. Per la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, invece “è sbagliato l’approccio sia delle riaperture per settori, sia delle riaperture per territori. Non possiamo discriminare – prosegue Meloni – interi settori e lo Stato deve dare indicazioni molto precise su quali siano i protocolli necessari alla riapertura e deve dire che tutti coloro che sono in grado di mantenere quei protocolli devono poter riaprire, altrimenti il rischio è la desertificazione economica e produttiva di interi settori”. Matteo Renzi, leader di Italia Viva, a Circo Massimo su Radio Capital dice “no alle aperture regionalizzate. Ma non decido io. È un dibattito teorico. Credo che il contagio zero arriverà con il vaccino, quindi manca un anno. Ora il rischio è che l’epidemia riparta. Dobbiamo conviverci, allora diamo regole chiare. L’Italia avrà la carestia dopo la pandemia, e allora dico diamoci una mossa”.
Intanto, mentre divampano le polemiche, i fisici Guido Sanguinetti (ordinario di Fisica Applicata alla Sissa di Trieste), Matteo Marsili (Research Scientist, Abdus Salam ICTP, Trieste), Federico Ricci-Tersenghi, Enzo Marinari (entrambi dell’Università Sapienza di Roma) e Riccardo Zecchina (docente di Fisica Teorica, Università Bocconi Milano) lanciano un messaggio in una lettera aperta: “Prima di decidere quando riaprire è necessario decidere come”. La missiva, spiega all’ANSA Sanguinetti, “rappresenta una reazione al dibattito in corso sulle date della possibile riapertura: parlare di 4 maggio o di 22 aprile per noi non ha alcun senso. Parlare di riaperture senza definire le condizioni per riaprire e i piani per contenere futuri focolai, è velleitario e pericoloso”, ammonisce il professore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati.
“Non si può pensare a un ‘tana liberi tutti’ dal 4 maggio. È chiaro che un Paese non regge un lockdown completo per più di due mesi. Saranno i politici a doversi fare carico di questa decisione, tenendo conto di tutte le sfaccettature del problema. Mi sembra logico che alcune attività comincino a ripartire in maniera graduale e parziale, ma si dovrà tener conto del fatto che il virus continuerà a circolare”. Così Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità, ha riferito nel corso di un’intervista via Skype rilasciata all’agenzia Dire.
Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, durante la trasmissione Agorà, ha risposto alla domanda su quali potrebbero essere le prime riaperture: “Il primo elemento da escludere sono le attività che prevedono aggregazioni o presenza contemporanea di decine o centinaia di persone in spazi ristretti o chiusi. L’importante – ribadisce – è fare un passo alla volta. E i primi passi sono riaprire le attività produttive essenziali, permettere alle imprese di mantenere gli ordini, garantire i servizi all’interno e l’export”. E suggerisce anche di “spalmare gli orari lavorativi per evitare affollamenti sui mezzi di trasporto” e “procedere a piccoli passi, verificandone man mano l’impatto”. Per Brusaferro, sempre su Rai 3 “l’aspetto dei trasporti è molto importante. Bisogna immaginare – ha detto – una redistribuzione degli orari tali da evitare affollamenti nelle ore di punta. Quindi riorganizzare gli orari di accesso alle attività in modo da spalmarli nell’arco della giornata. Imprese e sindacati stanno cercando di lavorare su questo”. In qualsiasi caso, nella Fase 2, per l’esperto, sono “due i punti che dobbiamo avere in mente: il primo è iniziare con cautela, a piccoli passi e misurare l’impatto in termini di circolazione del virus. Il secondo punto è avere un sistema di sorveglianza stringente per poter monitorare come le misure impattano su nuovi casi, occupazioni di posti letto nelle strutture e nelle terapie intensive”.