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HomeCultura Il Papa mette in guardia sulle celebrazioni virtuali. “Non viralizzare la Chiesa”

Il Papa mette in guardia
sulle celebrazioni virtuali
"Non viralizzare la Chiesa"

Il vescovo di Bologna Zuppi a Lumsanews

"La fede resta soprattutto comunione"

di Chiara Viti17 Aprile 2020
17 Aprile 2020

This handout photo provided by the Vatican Press Office shows Pope Francis leading Holy Mass at Santa Marta House, Vatican City, 08 April 2020. ANSA/ VATICAN MEDIA +++ HO - NO SALES, EDITORIAL USE ONLY +++

“Questa non è la Chiesa, è una Chiesa in una situazione difficile”. Un messaggio forte quello del Papa che, questa mattina nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta, ha sottolineato che i riti svolti “con i mezzi di comunicazione”, come l’eucarestia ad esempio, non possono essere considerati una modalità normale di vivere la fede, il rischio è di “viralizzare la Chiesa”. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha commentato con noi questo nuovo rapporto digitale con i fedeli.

Il Papa questa mattina ha definito la messa senza popolo “un pericolo”. Che ne pensa?

“Sono d’accordo. La messa senza la concretezza della comunità è una celebrazione a cui manca qualcosa. Tutti i preti stanno affrontando il digiuno dalla comunità. Per loro è doloroso e faticoso digiunare dalla partecipazione. Il Vangelo è basato sulla concretezza: dei discepoli conosciamo la storia, il nome, la persona, il corpo e soprattutto le debolezze e le contraddizioni. È questa l’essenza della comunità umana, dobbiamo vivere questa”.

Il cardinale Matteo Maria Zuppi in un foto del 2015

La Chiesa è soprattutto partecipazione e dialogo.

“Certamente. L’amore per la concretezza ci deve far riscoprire quanto è importante riunirsi e ritrovarsi. Le celebrazioni “virtuali” rischiano di essere un “servizio” individuale e il Papa giustamente ha sottolineato l’importanza della comunità di cui tutti abbiamo bisogno. La Chiesa è soprattutto comunione”. 

Il Papa ha raccontato di un vescovo che lo ha consigliato di non celebrare la messa di Pasqua in una San Pietro senza fedeli.

“La preoccupazione è stata sicuramente questa: anche se in maniera simbolica dimostra che c’è la comunità. Il Pontefice ha scelto di mandare un messaggio chiaro: non c’è nessuno perché dobbiamo essere tutti. Condivido la preoccupazione del vescovo, è quella che ci accomuna tutti”. 

Quello che stiamo vivendo è certamente un momento epocale.

“È un momento di forte consapevolezza, che cambierà molto della nostra vita materiale e spirituale. È qualcosa di talmente grande che non ci può lasciare uguali, non è come aprire un ombrello quando piove. Tutti ci poniamo tante domande e affrontiamo situazioni difficili, a cui bisognerà far fronte. Ci sarà senz’altro un prima e un dopo”.

Anche per la Chiesa?

“Certamente. Ha reso tutti molto più consapevoli, ci sarà anche per il Vaticano una ripresa graduale, poco alla volta e con delle nuove regole. Mi auguro che ci abbia reso tutti anche un po’ più responsabili”.

C’è stato, anche grazie agli strumenti offerti dalla comunicazione di massa, un riavvicinamento alla fede?

“Penso proprio di sì. Quando la realtà ci entra in casa, trasforma la vita. Siamo più noi stessi e capiamo che abbiamo bisogno della fede e del Papa perché cerchiamo più risposte, ci interroghiamo sulla morte, sulla debolezza, sulla fragilità e tutto questo porta con sé, indubbiamente, anche domande di fede. Passata la tempesta non torneremo ad essere quelli che eravamo prima, sarà una rivoluzione storica che può farci crescere tutti in umanità e spiritualità”.

Secondo lei abbiamo mantenuto però il senso di comunità pur stando in casa?

“Sì, perché c’è stato comunque tanta comunione. Il Papa ha detto: “Nessuno si salva da solo”. Ed è così, ma ancora non lo abbiamo ancora capito tutti appieno. Nel racconto della passione tutti i discepoli, tranne uno che è rimasto sotto la croce, pensavano che ci si sarebbe salvati da soli”.

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