La pandemia di coronavirus non ha fermato le elezioni in Corea del Sud. Ventinove milioni di sudcoreani, il 66% dell’elettorato, si sono recati alle urne e hanno consegnato al presidente Moon Jae-in e al suo Partito democratico liberale una schiacciante vittoria: 180 seggi su 300 conquistati in parlamento.
A incrementare il consenso intorno al governo e a spianare la strada alla rielezione di Moon ha contribuito la gestione dell’emergenza Covid-19: Seul ha saputo arginare la diffusione del virus senza paralizzare il Paese, diventando un modello virtuoso e alternativo a quello cinese, ben più draconiano.
Uno dei 300 scanni andrà all’ex alto diplomatico nordcoreano Thae Yong-ho, primo dissidente del Nord a conquistare un seggio maggioritario in Corea del Sud. L’ex vice ambasciatore di Pyongyang in Gran Bretagna, ha corso per il Partito conservatore della libertà, la principale forza di opposizione vincendo con il 58,4% dei voti nel collegio di Gangnam, ricco distretto di Seul.
L’esule si è unito al fronte conservatore in polemica con la politica di apertura verso la Corea del Nord di Kim Jong-un portata avanti da Moon Jae-in, considerata troppo poco realistica. “Ero veramente molto preoccupato che i residenti di Gangnam potessero scegliere una persona del Nord”, ha commentato Thae ringraziando i suoi sostenitori e ha aggiunto: “La Corea del Sud è il mio Paese e Gangnam è la mia città”. Scappato con la sua famiglia in Corea del Sud nel 2016, Thae è accusato dal regime nordcoreano di aver rivelato segreti di Stato, sottratto soldi al governo del suo Paese e di stupro a danno di minori.
Ji Seong-ho, un altro disertore, è stato eletto nella quota proporzionale con il Future Korea Party, lista satellite del Partito conservatore. Ji, attivista dei diritti umani, era apparso a sorpresa durante il discorso del 2016 sullo Stato dell’Unione del presidente statunitense Donald Trump.