«Giovanni Paolo II è riuscito ad attirare l’attenzione, la mente e le emozioni degli ascoltatori. Le sue idee erano profetiche. Ma è importante sottolineare la continuità con Giovanni XXIII e Paolo VI». Monsignor Pawel Ptasznik, oggi responsabile della sezione polacca della Segreteria di Stato Vaticana, ha lavorato dieci anni con Papa Wojtyla e ora lo ricorda così nel quindicesimo anniversario della sua morte (era il 2 aprile 2005).
Cosa ha significato questo Papa per la cristianità e per il mondo?
«Domanda difficile. Papa Giovanni Paolo II è stato importante soprattutto dal punto di vista spirituale e teologico, ma anche socio-politico. Il suo insegnamento e i suoi viaggi hanno influito molto sui cambiamenti avvenuti nel mondo negli ultimi anni. Per la Chiesa è stato un grande pontificato, in continuazione con il Concilio Vaticano II e con l’operato di Paolo VI. Giovanni Paolo II fin dall’inizio ha provato a mettere in pratica l’insegnamento del Concilio ed è stato concentrato sulla comunione della Chiesa, basata sulla centralità di Cristo, e su tutti gli aspetti che convergono su questo centro: liturgia, vita sociale, carità. Lui è riuscito ad introdurre nel pensiero cristiano questa centralità di Cristo, fin dal suo primo discorso e anche grazie all’introduzione della festa della Divina Misericordia».
A proposito dei suoi discorsi: possiamo dire che Papa Wojtyla ha rivoluzionato il linguaggio della Chiesa, a partire dalle sue prime parole in Piazza San Pietro dopo la proclamazione. Pensa che oggi la Chiesa sia più vicina ai fedeli grazie al suo operato?
«Non so se ha rivoluzionato il linguaggio, perché anche i discorsi di Giovanni XXIII e Paolo VI toccavano il cuore e non sono troppo tecnico-teologici. Comunque Giovanni Paolo II è uscito ad incontrare la gente usando un linguaggio proprio, a partire dalla sua esperienza di sacerdote e vescovo in Polonia. Forse è la sua personalità che ha portato più spirito in quello che diceva, più che il linguaggio che usava. Però sì, è vero che è riuscito ad attirare l’attenzione, la mente e le emozioni degli ascoltatori e per questo la gente si è sentita legata alla sua persona, ma anche alla Chiesa e quindi a Cristo. Questo di sicuro».
E poi sei anni fa ci fu la canonizzazione insieme a Giovanni XXIII. Perché fu importante quel passaggio?
«In un certo modo evidenziò la continuità tra i pontificati di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Sono stati grandi pontificati di grandi santi. Una canonizzazione organizzata così è una cosa molto felice. Per la Chiesa e la gente di oggi la santità di Giovanni Paolo II appariva evidente, già durante il suo funerale la gente ha espresso il desiderio di proclamarlo santo. Forse Giovanni XXIII è più lontano nei tempi e non lo si conosceva così bene, ma anche lui aveva una grande spiritualità».
Un ruolo particolare Wojtyla lo ha avuto anche nella Guerra Fredda, per allentare le tensioni internazionali e per la Polonia, dove ha favorito la transizione alla democrazia dal dominio sovietico.
«Il suo operato è stato importante non solo per la Polonia, ma anche per l’Europa, sopratutto per quella centrale e orientale: il suo influsso, anche dal punto di vista politico, con i suoi contatti internazionali, hanno portato prima alla crescita di Solidarność, poi alla rottura del Muro di Berlino. Ma guardando al di fuori della Polonia, ha fatto tanto per fermare la guerra del Golfo e spingere ad un equilibrio tra Nord ricco e Sud povero della Terra. Le sue idee erano profetiche».
Ecco, oggi in Polonia il governo ha limitato i poteri della Giustizia e della Corte Costituzionale, ma anche la libertà della stampa. Pensa ci sia il rischio di vanificare quanto fatto?
«In merito alla situazione odierna non sono la persona giusta per argomentare».