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HomeCronaca Emergenza e tensione sociale per i lavoratori in nero: “Non c’è rischio rivolta”

Covid e emergenza lavoro
"In Italia non rischiamo
una rivolta generalizzata"

L'intervista di LumsaNews

al sociologo Luca Diotavelli

di Andrea Murgia31 Marzo 2020
31 Marzo 2020

Una persona indossando una mascherine protettiva e guanti Codogno, riaperta dopo la decisione del Governo di eliminare la "zona rossa" nei comuni della Bassa rimasti in isolamento per due settimane per l'emergenza coronavirus. 9 Marzo 2020. ANSA/Marco Ottico

L’emergenza sanitaria sta colpendo l’economia del Paese con ricadute sul lavoro e, quindi, sulla vita delle persone. I soggetti maggiormente a rischio sono soprattutto quelli che non hanno un contratto e i lavoratori in nero, che non possono usufruire degli aiuti dello Stato. Il pericolo di tensione sociale è alto, come dimostrato dagli ultimi casi di cronaca.

Per il sociologo Luca Diotallevi, professore all’Università Roma Tre, “non c’è il rischio di un’insurrezione generalizzata, nonostante la possibilità di alcuni fenomeni di questo genere”.

Perché, secondo lei?

“La nostra è una popolazione tendenzialmente vecchia ed episodi del genere si hanno quando ci sono molti giovani. Inoltre, da quanto si legge, al Sud questi fenomeni sono fomentati dalla criminalità organizzata”.

Però è anche vero che chi lavorava in nero ora non guadagna e non riceve aiuti economici. La situazione rischia di sfuggire di mano. Lo Stato come può far fronte a questo tipo di emergenza?

“Vanno sostenute le famiglie e le imprese. Chiaramente c’è un problema per i lavoratori irregolari e sono anche insufficienti le misure per chi ne può beneficiare. Ci dobbiamo rendere conto però della situazione del Paese: troppo lavoro nero e troppo debito pubblico che rendono difficili politiche di sostegno. Questo va ricordato”.

Gli italiani sono chiusi in casa da un mese. Senza poter andare a scuola, al lavoro o semplicemente uscire per svagarsi. Quanto è grande il rischio di ulteriore tensione?

“La tensione è un segno di vitalità, tralasciando fenomeni ed episodi indesiderati. Io ho più paura di un Paese che accetti passivamente questa situazione. Per quanto riguarda l’istruzione, ai miei tempi, quando non si andava a scuola si esultava perché avevamo tante cose da fare. Oggi invece l’istituto scolastico è l’unico centro di socializzazione, a parte le forme di divertimento estremo. Ma la scuola resta un luogo dove studiare e i giovani chiedono infatti gli strumenti necessari per farlo”.

 

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