Nell’Est asiatico circa 11 milioni di persone potrebbero presto sprofondare in uno stato di povertà, a maggior rischio chi oggi ha un lavoro precario o con un basso salario. E la Cina potrebbe fermarsi, con una crescita stimata scesa al 2,3%. Questo l’allarme lanciato da Aaditya Matoo, chief della Banca Mondiale per la regione asiatica, in una conferenza stampa avvenuta ieri con al centro un rapporto intitolato “East Asia and Pacific in the Time of Covid-19”.
Secondo le previsioni della Banca Mondiale tutto l’Est asiatico, cresciuto complessivamente del 6% nell’ultimo anno, potrebbe perdere ben 4 punti percentuale del tasso di crescita. Il calo avrebbe immediate ripercussioni nel mercato occupazione, come rimarca Mattoo: “Ad esempio gli operatori turistici della Thailandia e i lavoratori dell’abbigliamento in Cambogia potrebbero essere spinti al di sotto della soglia di povertà”.
Per scongiurare questo cupo scenario la Banca mondiale propone l’attuazione di misure fiscali, come la distribuzione di assegni di indennizzo per malattia, e maggiori investimenti nel sistema sanitario. La World Bank chiama in causa pure la finanza internazionale: “Oggi deve essere tollerante e garantire un accesso più facile al credito”.
Nel rapporto afferma che, nonostante il contenimento della pandemia, il rischio di stress finanziario può “durare oltre il 2020”. I più vulnerabili sono “i paesi che dipendono dal commercio e dal turismo, spesso già indebitati”. Ad esempio Filippine, Papua Nuova Guinea, Indonesia, Malesia, Timor Est e Thailandia.
Mattoo infine rileva il “buon esito” del contenimento cinese, ma insiste sulle difficoltà persistenti delle piccole e medie imprese del Paese, centrali in quello che potrebbe diventare l’arresto della locomotiva cinese.