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HomeCultura “Avremo un senso di allarme, ma anche d’orgoglio nazionale e di euforia per il futuro”

"Vivremo in allarme costante
ma scopriremo l'orgoglio
e l'euforia per il futuro"

Quale società dopo la pandemia

risponde la sociologa Lumsa Corradi

di Tommaso Coluzzi27 Marzo 2020
27 Marzo 2020

People walk at Termini station in Rome, Italy, March 27, 2020. A stop to the positive trend of the last few days: the number of new sick people in Italy goes up again, but fortunately the contagion curve continues to slow down. After four days of decline, the number of new coronavirus positives in the country is once again rising. In the last 24 hours there are 4,492 more patients, for a total of over 62 thousand people currently affected by Covid-19. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

In questi giorni di quarantena, che ci danno tempo per riflettere, sono tante le domande che affollano la nostra mente. La maggior parte di queste riguarda il futuro, più o meno lontano. Come sarà la nostra vita quando l’epidemia di Covid-19 finirà, cosa sarà cambiato e cosa cambierà. Abbiamo rivolto queste domande a Consuelo Corradi, professore ordinario di Sociologia generale alla Lumsa, per provare a capire dove stiamo andando pur restando chiusi dentro casa.

“La prima riflessione da fare è che non penso ci sarà un prima e un dopo secco, cioè un prima le vacanze e dopo le vacanze. Noi torniamo dalle vacanze la domenica e il lunedì mattina andiamo a lavorare. Non sarà così. Ci sarà un rientro graduale dall’emergenza. Questo perché fino a che non ci saranno una terapia certa o un vaccino sperimentato contro il virus noi saremo comunque in emergenza. Perciò avremo per un lungo periodo una percezione più acuta del rischio”.

E questa percezione a che cosa potrebbe portare?

“Potrebbe generare due cose: una positiva e una negativa. La negativa è una sensazione di allarme costante nelle nostre vite, useremo molto di più l’amuchina di quanto abbiamo fatto in passato, cosa che molti all’estero già facevano in tempi di normalità. A noi italiani è stato detto che il pericolo viene dall’immigrato, ma adesso abbiamo capito che non è così ma che viene da qualcosa che non riusciamo a vedere. Il senso di ansia e allarme interno proviene da questo”.

E la positiva?

“Ci sarà un maggior senso di orgoglio nazionale: abbiamo capito che abbiamo un sistema sanitario che ha retto meglio degli altri paesi occidentali. Ma anche un modello italiano di gestione della crisi che poi è stato copiato da tutti i paesi europei: dal lockdown all’autocertificazione, dalla protezione degli anziani ai tamponi. Tutte queste cose noi, l’Italia, l’abbiamo sperimentate per primi in Occidente. Per questo accanto alla negatività ci potrebbe essere anche un senso di euforia: la consapevolezza di dover ricostruire. L’economia, i posti di lavoro, la percezione di avere un futuro. Sono molto curiosa di vedere tra nove mesi se ci sarà un aumento della natalità, tra dicembre e gennaio. L’essere costretti a stare a casa ci da tanto tempo per stare insieme. Non so cosa accadrà, ma potrebbe esserci una piccola impennata della natalità italiana e sarebbe un bel segnale di voglia di futuro”.

La sociologa Consuelo Corradi

Come cambierà il modo di rapportarci?

“Il distanziamento sociale, cioè la distanza fisica tra me e gli altri, sarà qualcosa che rimarrà presente. È possibile che il rientro da questa situazione di lockdown sarà per fasce di età, quindi avremo sicuramente un atteggiamento di maggiore distanza fisica e maggiore pulizia delle mani e questo ci accompagnerà per parecchio tempo”.

In questi giorni c’è grande diffidenza verso gli altri. Come si può tornare indietro? 

“Tornare a una fiducia diffusa è molto difficile. Le mascherine saranno la chiave di volta. Attualmente sono indisponibili, non si trovano. Quando tutti avremo le mascherine avremo sicuramente meno paura, ma il senso di allarme per qualcuno che starnutisce durerà ancora a lungo”.

La sanità italiana si sta mostrando eccezionale, lo sapevamo ma lo stiamo anche un po’ riscoprendo. Questo può essere un punto di cui essere orgogliosi che possa far guardare al futuro con più fiducia?

“Questo è un punto da cui ripartire, l’altro è che l’Italia è stato il primo paese occidentale ad essere colpito in maniera così dura. Siamo stati i primi. Il modello italiano è stato seguito dalla Francia e persino dalla Gran Bretagna, che inizialmente ha proposto quella gestione cinica dell’ognuno si salva per sé, dell’immunità di gregge. Poi il governo britannico è dovuto tornare sui suoi passi perché quel modello non era scientificamente sostenibile e ora usano quello italiano delle autocertificazioni. Un altro motivo di orgoglio è la quantità di solidarietà in termini economici, sono stati raccolti milioni di euro. Ma anche la grande disponibilità di forza lavoro con medici e infermieri volontari che si sono messi a disposizione. Queste sono cose di cui essere orgogliosi”.

Nell’Italia prima dell’epidemia la fiducia dei cittadini nel governo, nelle istituzioni e in generale nella politica era ai minimi storici. Ora cosa cambia? 

“Ora abbiamo una popolarità molto elevata di coloro che si trovano in prima linea per quantità di responsabilità nell’emergenza. In tempi di normalità la politica è una serie di punti di vista. Oggi noi sbattiamo la testa contro i duri fatti: numero di contagiati, guariti e deceduti. E questi sono fatti intorno ai quali possono esserci un paio di opinioni, ma non più di un paio. Ora bisogna risolvere e confrontarsi con i fatti e questo crea maggiore unità”.

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