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HomeCronaca Coronavirus, Federprivacy: “Geolocalizzazione anti-contagio? Entro le regole e per poco”

Geolocalizzazione cellulare
per combattere il Covid-19
Federprivacy: "C'è limite"

Dopo le rilevazioni della Lombardia

parla il presidente Nicola Bernardi

di Giulio Seminara22 Marzo 2020
22 Marzo 2020

L’emergenza Coronavirus ha rilanciato in Italia il tema della privacy e sta interrogando tutti sul rapporto tra il diritto alla segretezza dei propri dati personali e l’urgenza di una questione sanitaria collettiva. Martedì sera i vertici della regione Lombardia hanno dichiarato che il 40% dei lombardi si muoveva ancora liberamente, in sfregio ai divieti. L’informazione gli era stata fornita dagli operatori telefonici Vodafone e Tim, capaci di comunicare alle istituzioni gli spostamenti dei propri clienti. La possibilità da parte di un’azienda di utilizzare questa informazione e trasmetterla alle istituzioni è adesso al centro di un dibattito. Sulla questione LumsaNews ha sentito Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy.

Presidente, lei ritiene opportuna, in questi giorni di emergenza, la geolocalizzazione degli italiani?

«Le rispondo con un esempio: dopo un terremoto si possono rintracciare e salvare le persone disperse tramite la geolocalizzazione dei telefonini. A volte il diritto alla privacy si può momentaneamente accantonare, per un bene superiore. Oggi, a causa dell’emergenza Coronavirus, possiamo privarci di una quota di libertà in nome della salute pubblica, ma dobbiamo avere ben chiari dei limiti».

Quali?

«Innanzitutto dobbiamo stare nelle regole dateci dal General Data Protection Regulation (GDPR): i dati personali possono essere trattati e trasmessi senza il consenso specifico dell’utente solo per casi eclatanti, dentro una base legale ed esclusivamente da parte di autorità competenti. In pratica ci deve essere un motivo specifico, come può essere una crisi sanitaria, la gente deve essere già informata della situazione e pure dotata di contatti per eventuali rimostranze, e questi dati possono essere richiesti e usati solo da istituzioni pubbliche».

In Lombardia sono stati rispettati questi criteri? I cittadini erano già stati informati sull’essere geolocalizzati? 

«Mi auguro di si, ma lo sapremo meglio dopo. Intanto ci sono delle criticità: In Lombardia hanno usato i dati raccolti da soli due operatori (Vodafone e Tim, ndr), come se i potenziali contagiati potessero essere unicamente clienti loro e non di altri. Poi chiunque può usare il cellulare di un’altra persona, facendola muovere a sua insaputa, e adesso è forse pure incentivato a dotarsi di un’altra sim, con un altro operatore, per fare il furbo».

Quali altri possono essere i rischi? 

«Il timore è di perdere gradualmente, in nome della battaglia al Coronavirus, la nostra libertà e la nostra privacy. Pensi a un’eventuale app per telefonini che mostra live gli spostamenti dei possibili contagiati, anche di chi fa pochi passi sotto casa. Sarebbe un grave caso di discriminazione, come ne rischiamo altri».

Quindi come possiamo coniugare privacy e lotta al Coronavirus? 

«Facciamo nostro l’ultimo rilievo del Board Europeo sulla tutela dei dati personali: per una geolocalizzazione di massa ci vogliono stato di necessità, proporzionalità, trasparenza e un tempo circoscritto. L’emergenza Coronavirus è innegabile, ma ragioniamo se è il caso di geolocalizzare tutti e per tutto il giorno, inoltre gli italiani devono essere adeguatamente avvertiti, e tutte queste informazioni personali a disposizione esclusiva di regioni e Stato, prima di essere cancellati per sempre. E poi, sia chiaro che non può essere una misura valida per l’eternità, ma a tempo. Come temporanea è la nostra autosospensione della libertà. Stiamo attenti a non perderla definitivamente in questo tempo di crisi».

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