Un piano nazionale per riconvertire centinaia di industrie tessili e della moda in Italia per produrre migliaia di mascherine, di cui c’è un disperato bisogno durante l’emergenza Covid-19. Si chiama ‘Riconversione industriale nazionale Emergenza Covid’ e lo stanno mettendo in piedi Sportello Nazionale Amianto, Confindustria Moda e Federmoda, raccogliendo già più di 200 candidature di aziende del settore. LumsaNews ha chiesto a Sistema Moda Italia, che aderisce a Confindustria, i dettagli di questo piano.
Come vi state organizzando? E per far produrre quali mascherine?
«Abbiamo ricevuto ieri le direttive ufficiali dal Ministero della Salute per la produzione di mascherine e camici e corriamo contro il tempo dando le prime indicazioni alle aziende. Stiamo cercando tutte le imprese del settore che possano produrre mascherine validate dei tre tipi (chirurgiche, con filtri interscambiabili e filtranti, anche se per questo tipo non ci sono ancora precise disposizioni di produzione ed etichettatura ndr). Proviamo a capire quali aziende hanno la capacità produttiva di questi modelli».
Perché se non rispondono alle norme le mascherine sono inutili, giusto?
«Le aziende devono attenersi ai protocolli dell’Istituto superiore di Sanità, altrimenti le mascherine sono inutili. Tutti quelli che si sono lanciati a farsi mettere sui giornali per primi e han fatto le mascherine spesso le fanno forse per la signora che va al supermercato, ma non per i medici che salvano le vite dei nostri nonni. Per loro quelle robe lì non servono».
Il vostro direttore ha chiesto alle aziende di compilare una prima scheda per la disponibilità produttiva dei dispositivi entro oggi. Che tempi avete?
«I tempi sono in divenire, non c’è una precisa scadenza. Stiamo cercando di capire quali aziende hanno la capacità produttiva dei tipi di mascherine richiesti. Quando avremo un quadro preciso invieremo tutto al Commissario straordinario Domenico Arcuri. Noi lavoriamo a livello nazionale, ma sarà poi lui eventualmente a decidere dove andranno le mascherine, coordinando il lavoro a seconda di dove c’è la necessità. Non sta a noi farlo perché ne non abbiamo proprio la possibilità».