Nuova fumata nera. Il prossimo presidente della Repubblica non sarà “Franco” e neanche “Romano”. Uno scenario dalle conseguenze inaspettate che lascia sotto shock l’intero Partito Democratico. E’ di poco fa la notizia delle dimissioni della Presidente del Pd, Rosy Bindi, e quelle del segretario, Pierluigi Bersani (le dimissioni saranno operative subito dopo l’elezione del Presidente della Repubblica). Tutti i big sono riuniti per discutere del futuro e, soprattutto, per decidere se accettare o meno le dimissioni di Bersani. E dire che le previsioni, questa mattina, erano ben diverse dopo la riunione organizzata dai vertici del partito sempre al Capranica, che aveva visto Prodi candidato per acclamazione sotto uno scroscio di applausi. Applausi poi rivelatisi tutt’altro che sinceri visto che all’appello mancano almeno un centinaio di voti. Dopo Marini, anche Prodi non riesce a raggiungere i voti necessari per essere eletto, nonostante l’abbassamento del quorum che, dalla quarta votazione, prevede solo la maggioranza assoluta (che in questo caso corrisponde a 504 preferenze), invece dei 2/3. Alla fine il Professore racimola solo 395 voti, una cifra ben al di sotto del numero necessario; 213 le preferenze raccolte dal candidato dei 5 Stelle, Stefano Rodotà, che vede aumentare i consensi rispetto alle precedenti votazioni, e 78 voti per Anna Maria Cancellieri, ministro dell’interno, proposto da Lista Civica.
Rabbia e sconforto. Un Bersani, profondamente amareggiato e deluso, ha dichiarato all’assemblea dei parlamentari Pd: «Fra di noi uno su quattro ha tradito»; non è andata giù la bocciatura del candidato della prima ora, Romano Prodi, che avrebbe dovuto ricompattare il partito facendo rientrare nei ranghi i parlamentari “renziani” e quelli di Sel (che ieri avevano votato per Rodotà ndr.). Intanto il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, non ci sta a passare per chi ha deciso la bocciatura di Prodi e punta il dito verso quelli che «hanno detto sì, hanno fatto l’applausone e poi hanno fatto il contrario». Dal Mali, in Africa, dove si trova in veste di ambasciatore Onu, arriva il commento di Romani Prodi: «Oggi mi è stato offerto un compito che molto mi onorava anche se non faceva parte dei programmi della mia vita. Ringrazio coloro che mi hanno ritenuto degno di questo incarico». A seguito di queste dichiarazioni arriva poi la rinuncia alla candidatura.
Il centrodestra abbandona l’aula. Ma la decisione di convergere su Prodi aveva provocato, prima su tutti, l’ira del Pdl. Caduto l’accordo sulla candidatura di Franco Marini, non c’è stata la prosecuzione di un dialogo su un altro nome come quelli di Giuliano Amato o Massimo D’Alema, entrambi graditi in via dell’Umiltà. Per questo motivo, come segno di protesta, al momento della quarta votazione, deputati e senatori del centro destra hanno abbandonato l’aula riversandosi in Piazza Montecitorio dove, negli stessi istanti una serie di simpatizzanti di Fratelli d’Italia, Popolo della Libertà, La Destra e Casapound protestavano contro il candidato dei democratici e dei grillini, anch’essi presenti. Il clima è particolarmente acceso con la folla che si divide tra i pro-Rodotà e i no-Prodi. Spicca tra i parlamentari Alessandra Mussolini che esibisce una maglietta con lo slogan “Il diavolo veste Prodi”.
E ora fuori i nomi. Sono due gli scenari per le prossime ore: convergere sul candidato del MoVimento 5 Stelle, Stefano Rodotà, o cercare di ricucire lo strappo col centro destra e votare un candidato condiviso. Su questa linea si possono leggere gli incontri in serata del Premier, Mario Monti, con Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani. Si va dunque verso una possibile elezione della Cancellieri anche se non è da escludere un ritorno di fiamma sulla candidatura di Amato.
Domenico Cavazzino