Da dottori in medicina, a medici. Nessun esame di Stato, la laurea diventa abilitante. Dal 17 marzo, con l’approvazione del decreto “Cura Italia”, i laureati in Medicina che aspettavano di sostenere l’esame di abilitazione, o coloro che hanno appena discusso la tesi – magari in teleconferenza – diventano subito medici. Diecimila neoabilitati per riempire le corsie degli ospedali e aiutare la sanità italiana nella lotta al Coronavirus. Tra loro ci sono Giulia Pedroni, Michele Palisciano e Antonella Monittola, tutti e tre laureati a luglio 2019 all’Università La Sapienza di Roma. Tre giovani medici con le idee chiare: c’è chi come Giulia si sente più sicura ad affrontare situazioni di emergenza, chi come Michele pensa che i neo-medici siano più utili a sostegno del territorio e chi, come Antonella, vorrebbe da subito dare una mano ma è cauta: “Per trattare i casi di Coronavirus servono competenze specifiche”.
Giulia ora che lei è un medico cosa pensa di poter fare per aiutare in questo particolare periodo?
“Sono contentissima, ma è chiaro che non possiamo lavorare nel cuore dell’emergenza o gestire le conseguenze della polmonite da Covid. Dall’ordine dei medici di Roma, ad esempio, ci avevano proposto di mettere in piedi un call center di assistenza per fornire supporto sul Coronavirus, dare consigli in base ai sintomi o svolgere attività di monitoraggio dei soggetti in isolamento domiciliare”.
Se le chiedessero di lavorare in un Covid hospital e gestire da sola l’emergenza, lo farebbe?
“Gli ultimi 3 anni di Università per la stesura della tesi ho frequentato il DEA, il Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma, e seguivo la mia tutor, un medico dell’ospedale, in tutti i suoi turni. Posso dirle che ho visto come si può gestire una situazione emergenziale, ma questo non mi mette a riparo da errori. In certi casi ci vuole tanta esperienza, che si fa solo con la specializzazione. Penso di aver comunque bisogno di un appoggio di qualcuno con più esperienza”.
Michele, ora è un medico a tutti gli effetti, ma lavorerebbe nel cuore dell’emergenza?
“Noi neolaureati possiamo sicuramente aiutare, fare una scrematura al triage ad esempio. Ma non siamo la soluzione alla mancanza di medici in Italia. Penso che saremmo più utili al territorio dove potremmo sostituire dei medici con più esperienza e che potrebbero andare a gestire le emergenze. Abbiamo già lavorato come medici di base durante il tirocinio, saremmo magari in grado di lavorare in situazioni più “soft”, meno emergenziali, meno drammatiche”.
Qualcuno vi ha fatto sapere cosa fare ora e come comportarvi?
“No, non sappiamo ancora nulla: l’ultima comunicazione ufficiale da parte dell’Ateneo (La Sapienza, ndr) è stata il rinvio della data dell’esame per l’ammissione al percorso specialistico. Tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso da fonti non ufficiali, come le associazioni studentesche ad esempio. Stiamo ancora aspettando una comunicazione dall’ufficio degli esami di stato su come muoverci, ci troviamo un po’ disorientati”.
Antonella come ha saputo che era ufficialmente un medico abilitato?
“L’ho saputo dalle fonti di informazione, ma avevo già letto la bozza dell’ultimo decreto, che circolava online già qualche giorno. Ci tengo a sottolineare che nessuno ci ha regalato nulla, avremmo dovuto svolgere l’esame già il 28 febbraio, se non ci fosse stato il virus. È un test che in media registra ogni anno un alto tasso di idonei, la maggior parte di noi sarebbe già diventato comunque medico”.
Le fa paura l’idea di iniziare a lavorare come medico in questo particolare periodo?
“Non mi sento pronta e sicura al 100% perché la nostra laurea è molto teorica. Mi sentirei sicura però nella fase di anamnesi del paziente, magari fare tamponi o a realizzare studi epidemiologici. Ma anche in Pronto Soccorso a sostegno dei medici, ma non me la sentirei di trattare i pazienti affetti da Coronavirus. Mi sentirei sicuramente più utile che stare a casa e non fare niente in una situazione del genere”.