“Quella bergamasca è un’area molto attiva nel mondo degli scambi economici e sociali. Un terreno ideale per il virus. Inoltre parliamo di gente da sempre molto operosa, spartana, con una grande cultura del lavoro e una tendenza a sottovalutare e dunque trascurare malesseri che sembrano di stagione”. Francesco Le Foche, medico immunologo, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia del policlinico Umberto I di Roma, in un’intervista al Corriere dello Sport ha tracciato varie ipotesi sul motivo per cui a Bergamo il virus si sia diffuso in maniera così eclatante.
Partita zero. Atalanta-Valencia è considerata la “partita zero”. Il 19 febbraio, data in cui si è giocata la gara di Champions, molte cose non erano ancora ben definite, “a cominciare dall’enorme diffusibilità di questo virus”. Il match degli ottavi, così tanto atteso, si sarebbe quindi trasformato in un’occasione in cui non si sono risparmiati assembramenti, abbracci e manifestazioni di affetto, un contesto in cui il virus si sarebbe diffuso con molta facilità. “È passato un mese da quella partita. I tempi sono pertinenti. L’aggregazione di migliaia di persone, a due centimetri l’una dall’altra, ancor più associate nelle comprensibili manifestazioni di euforia, urla, abbracci, possono aver favorito la replicazione virale”.
Le Foche ha commentato anche la possibile ripresa dei campionati, che il presidente della Figc Gabriele Gravina immagina già ad inizio maggio. L’immunologo è piuttosto cauto: “La Cina insegna, ci vogliono prima certezze. Ovvero una stabilizzazione concreta dei contagi, prima di ricominciare. Peraltro sarebbe possibile soltanto a porte chiuse, almeno in una fase iniziale. Molto probabilmente il virus circolerà in modo ridotto da qui all’autunno. Dopo di che potrebbe anche esserci una ripresa dell’attività virale. Stiamo, ovviamente, ragionando per ipotesi”.