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HomeCultura La Chiesa ai tempi del virus. L’auspicio di padre Bianchi: “Sia più vicina a chi soffre”

La Chiesa ai tempi del virus
l'auspicio di padre Bianchi
"Più vicina a chi soffre"

"Bisogna seguire l'esempio del Papa

le parrocchie dovrebbero essere aperte"

di Federico Marconi16 Marzo 2020
16 Marzo 2020
Papa Francesco a via del Corso (© Vatican News)

Papa Francesco cammina in una via del Corso deserta, il 15 marzo 2020 (© Vatican News)

“L’atteggiamento della Chiesa in questi giorni è in linea con quello degli ultimi anni. Soprattutto con il modo in cui ha esercitato la carità: basti pensare a quanto ha fatto con poveri e migranti. L’atteggiamento di molti in questi giorni è chiaramente in linea con i tempi che stiamo attraversando. Però questa epidemia può essere un’occasione di riscossa”.

Padre Enzo Bianchi, 77 anni, monaco laico e fondatore della Comunità monastica di Bose, pensa che il coronavirus possa rappresentare un’opportunità per la Chiesa e i suoi fedeli. “L’importante è che troviamo risposta ad alcune domande: cosa significa credere? Ci siamo appiattiti sulle posizioni di chi non lo fa? Noi cristiani abbiamo ancora un messaggio di speranza? Bisogna chiarire questi punti, per sciogliere l’ipocrisia che ci circonda e ricordare che non siamo come tutti gli altri”.

Una riflessione importante in un momento complicato, proprio ora che per la prima volta nella storia si è deciso di fermare le celebrazioni religiose pubbliche. Cosa ne pensa?
Ci sono precauzioni necessarie da prendere e occorre accogliere queste istanze disciplinari che ci impone l’autorità politica. Questo sia ben chiaro. Ma bisogna tenere conto delle necessità della comunità dei credenti. Dobbiamo lasciare le chiese aperte, anche senza assembramenti, che possono essere rischiosi in questi giorni. E soprattutto trovare dei modi con cui preti e sacerdoti possano stare vicino alle persone malate, a chi in questi giorni soffre. Papa Francesco è stato chiaro: “La chiesa non può essere Don Abbondio”. Per questo dobbiamo essere presenti, anche se con tutte le precauzioni necessarie. C’è bisogno di umanità, ora più che mai, e di stare vicino ai sofferenti.

Padre Enzo Bianchi (© Wikimedia)

In che modo?
Con dei presbiteri, muniti di mascherina, che prendendo tutte le misure necessarie potrebbero andare nelle case dei malati, dando loro l’eucarestia, tenendo le distanze necessarie. Ma anche utilizzando i media e la rete per essere sempre presenti e vicini. Però non vorrei che si pensasse che una liturgia virtuale possa essere sufficiente per favorire l’incontro con le persone. E poi mi chiedo: sono state lasciati aperti le edicole e i tabaccai, perché non le chiese e le parrocchie?

Come può la Chiesa continuare a stare vicino al prossimo, proprio ora che il prossimo potrebbe essere una “minaccia” per sé stessi?
Le rispondo con un’altra domanda: se la fede non è capace di farci fare questo anche in un periodo di emergenza, cosa è capace di fare?

In questi giorni ha detto più volte che la Chiesa di oggi non è capace di una parola umile, senza pretese, chiara. Per quale motivo?
Vorrei sperare che sia soltanto una sonnolenza momentanea. Ma penso sia invece un indebolimento della fede cristiana. Oggi vediamo la Chiesa piegarsi a questo andamento egoistico del “si salvi chi può”, senza usare vie creative nonostante la situazione sia così drammatica. Ripeto: bisogna essere vicini a chi soffre, ora più che mai. Penso alle tante persone che in questi giorni sono state prelevate da casa, portate in ospedale a soffrire da sole, a morire da sole, senza conforto.

Papa Francesco nella Basilica di Santa Maria Maggiore (© Vatican News)

Cosa ha pensato quando ha visto ieri le immagini di papa Francesco, in preghiera e a passeggio da solo in una Roma deserta?
Mi rincresce dirlo, ma sembra che in questo momento solo il Papa abbia intuizioni profetiche, creative, audaci. Questi gesti, queste iniziative, dovrebbero farle anche gli altri uomini di chiesa. E fortunatamente alcuni ci sono: conosco molti preti che, prendendo precauzioni, continuano ad andare dai malati. In questi momenti la preghiera è necessaria, certo. Ma non può essere l’unica cosa.

Cosa è cambiato per lei in queste settimane di epidemia?
Continuo ad ascoltare le persone, gli anziani soli, le persone malate. Ma tramite telefono, messaggi, e-mail. Io vivo nella mia comunità in campagna, e siamo isolati da tutto: non possiamo muoverci. Andrei contro la legge a uscire da questa situazione: la città più vicina è a 15 km. Ma cerco di farmi sentire. Cerco di dire speranza, essere presente, stare vicino a chi ha bisogno. Dovremmo farlo tutti.

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