Alta tensione nelle fabbriche. I lavoratori scioperano per tutelare anche la loro salute. Una protesta che va da Terni al Piemonte, passa per la Lombardia, si estende alla Liguria e arriva fino all’ex Ilva di Taranto.
I metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil chiedono lo stop delle fabbriche, e il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha convocato per oggi una videoconferenza con sindacati e industriali. Ma lo sciopero di fatto è già iniziato e il lavoro si è fermato in alcuni stabilimenti: in Piemonte, ad Asti, Vercelli e Cuneo, gli scioperi interessano Mtm, Ikk, Dierre, Trivium. A Marghera gli operai della Fincantieri anticipano di due ore la fine del turno.
Stop alla Bonfiglioli di Bologna e alla Gardner Denver di Parma, mentre alla Material Handling Manifacturing di Bologna, dove ci sono circa 580 dipendenti, è stato concordato uno stop di due giorni. Fino alle 17 di venerdì sono fermi anche i lavoratori della Riparazioni Navali di Genova. Ubs e Fim proclamano lo sciopero anche allo stabilimento ex Ilva, mentre Fiom e Uilm fanno sapere che prenderanno una decisione dopo un incontro con il Prefetto.
Da oggi al 21 marzo si fermeranno anche i lavoratori dello stabilimento Hitachi rail di Pistoia. Lo sciopero è stato indetto con l’obiettivo di verificare che siano state prese “tutte le misure possibili perché si possa lavorare all’interno dello stabilimento rispettando le prescrizioni di sicurezza stabilite dai decreti ministeriali”, come si legge su un volantino diffuso dai sindacati.
Questa mattina alle 9.30 è scattato lo sciopero anche nello stabilimento Arcelor-Mittal di Genova. Annunciato ieri, lo stop si concluderà domani. Le rsu (rappresentanze sindacali unitarie) chiedono “la sanificazione degli impianti del sito genovese” .
Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini non esita a prendere le parti dei lavoratori delle fabbriche e lo dice in un’intervista a la Repubblica: “Gli operai hanno fatto bene. La loro è stata una reazione comprensibile, hanno messo al centro la salute e la sicurezza di chi lavora, delle loro famiglie, di tutti i cittadini: il profitto e la produzione vengono dopo”. Aggiunge che “nei decreti non è cogente la questione della sicurezza di chi produce, di chi svolge un lavoro in quelle aziende che non rispettano i parametri necessari di protezione della salute”.