“L’uomo deve re-imparare a mettere al centro l’alterità”. Il sociologo Mario Pollo, professore di Pedagogia Generale e Sociale di Psicologia delle nuove dipendenze della Lumsa di Roma, ha raccontato a Lumsanews come l’uomo contemporaneo affronta e vive questa emergenza sanitaria. L’allarme Coronavirus ha portato, in alcuni casi, a reazioni sproporzionate: dall’assalto ai supermercati al razzismo nei confronti della popolazione cinese, dalla cancellazione di eventi sociali alle esagerate paure epidemiche.
In che modo la nostra società ha risposto a questa emergenza?
“Fin dagli albori, l’uomo fugge dall’angoscia. Vede una minaccia indeterminata e ne attribuisce una causa. Per esempio, i fulmini in antichità venivano attribuiti all’ira divina. Questa individuazione della causa, spesso non vera, porta le persone a tranquillizzarsi. Così avviene anche con il Coronavirus: si individua nello straniero, indefinito e sconosciuto, la responsabilità dell’epidemia. Questo, però, non è nient’altro che una proiezione basata sull’ignoranza.”
L’uomo pensa innanzitutto a difendersi da questa minaccia?
“La reazione principale è la salvaguardia individuale. Si tutela prima se stessi, con atteggiamenti egocentrici e egoistici, e si indeboliscono i vincoli di solidarietà. La società regredisce. Viviamo in periodo storico in cui i legami comunitari sono liquefatti, per dirla con Bauman. Ogni persona trova la sua realizzazione nel suo progetto di vita e non si sente fondamentale nella vita degli altri.”
Come si recupera il senso comunitario?
“Bisogna partire dall’idea che nessuno si realizza da solo. La reazione al Coronavirus è stata di due tipi. La prima è quella individualistica, tutela di se stessi, e la seconda è l’aumento di solidarietà. Ci sono stati casi, una minoranza, di persone che mettono a repentaglio la propria vita per gli altri.”
Come si può affrontare al meglio questa emergenza del Coronavirus?
“Bisogna partire dalla propria finitudine e riconoscere la propria fragilità. Se le persone non accettano il loro essere mortali, la loro forza si trasforma in aggressività. Al contrario, coloro che accettano e accolgono la propria fragilità sono più forti per affrontare le avversità. Non solo: è necessario anche informarsi adeguatamente per sconfiggere gli stereotipi e pregiudizi.”
Il sociologo De Masi considera il Coronavirus come un esperimento sociologico, lei è d’accordo?
Non lo considero un esperimento sociologico, non si possono ridurre a meri “esperimenti” i fenomeni umani. Quello che emerge e che deve emergere da queste situazioni estreme sono i legami umani. Devono essere ricostruiti. Come ha detto Aristotele, ci sono uomini per natura liberi e altri gli schiavi, quelli che non sono in grado di intessere relazioni. Noi dobbiamo rimettere al centro l’alterità come elemento costitutivo dell’individuo.