La situazione demografica italiana è preoccupante e avrà effetti importanti in futuro se non si pone un argine. Ugo Inzerillo, autore di numerose pubblicazioni in campo previdenziale e macro-economia, è responsabile dell’Ufficio Studi e Ricerche di Inarcassa, Cassa di previdenza degli architetti e ingegneri liberi professionisti. Ha lavorato per 12 anni presso il Centro Studi di Confindustria, fa il punto sulla situazione e spiega quali sono le cause e quali potrebbero essere le soluzioni.
Secondo l’Istat la popolazione italiana diminuisce. Sotto il profilo sociale, che effetti ha adesso e avrà in futuro?
“Guarderei innanzitutto agli aspetti previdenziali. In prospettiva le pensioni dei giovani di oggi saranno più basse rispetto a quelle attuali e non solo per il passaggio al metodo contributivo operato dalla legge n. 335 del’95 (la cosiddetta legge Dini), che era una riforma doverosa, completata dalla “Legge Fornero”, anch’essa positiva; saranno più basse per la maggiore frammentarietà delle carriere ma anche perché la bassa crescita dell’economia italiana si traduce in una minore rivalutazione dei montanti contributivi individuali, e questo in futuro determinerà prestazioni più ridotte. Questo è un primo grosso rischio sul piano sociale. Altro fattore è l’invecchiamento; in Italia la quota di anziani over 65, oggi pari a meno di un quarto della popolazione, sarà di un terzo nel giro di tre decenni. Questo sta già comportando maggiori necessità sul piano dell’assistenza. È un problema che riguarda tutte le maggiori economie, ma in Italia è accentuato dal calo demografico e da una bassa produttività”.
Quali sono le cause del declino demografico?
“Le cause del declino sono innanzitutto la bassa natalità, che contribuiscono all’invecchiamento della popolazione. È un circolo vizioso: la minor crescita, cui facevo riferimento prima, interagisce con la bassa natalità, perché ci sono minori risorse da destinare alle politiche per incentivare la natalità (ad esempio come fa la Francia). Ci sono aspetti anche sociali nella bassa natalità. Il tasso di fecondità, cioè il numero di figli per donna, è al di sotto del tasso di sostituzione che è pari a 2,1. Oggi il tasso di fecondità in Italia è dell’1,29 ed è il più basso in Europa. Ci sono poi rilevanti differenze a livello territoriale: al Nord ci avviciniamo a 1,4 figli per donna, nel Mezzogiorno, dove negli anni ’60 e ’70 il tasso di natalità era ben più alto, siamo addirittura a 1,26. Il problema territoriale si vede anche nei flussi migratori. Da un lato c’è un flusso crescente di emigrazione intellettuale. Giovani ben formati e istruiti in Italia che si spostano all’estero, soprattutto in Francia, Germania e Inghilterra, per trovare un lavoro adeguato alla formazione ricevuta. Il problema è che li formiamo noi, spendiamo risorse e poi li “regaliamo” all’estero. Dall’altro, all’interno di questo fenomeno, c’è quello dello spostamento dal Sud del Paese verso il Nord che è un ulteriore aspetto negativo all’interno del declino demografico italiano. Al declino demografico ha posto in parte una soluzione il fenomeno dell’immigrazione che è stato più consistente nel primo decennio di questo secolo, ma che negli ultimi anni è in rallentamento.
Quali potrebbero essere le soluzioni?
“Ci sono tante cose da fare, a partire da una politica per le famiglie, ma la soluzione principale, l’abbiamo già richiamata in precedenza, è tornare a crescere; l’Italia è ferma, ci sono poche risorse da distribuire. Bisogna quindi allungare la vita lavorativa, non ridurla, oppure può essere ridotta diminuendo il valore attuariale delle prestazioni. Si potrebbero poi generare degli effetti positivi accrescendo la partecipazione femminile al lavoro – che in Italia è più bassa di quella di altri Paesi – e innalzando i livelli di istruzione; investire quindi sulla formazione dei giovani e nella ricerca, in modo da aumentare la produttività e compensare in questo modo gli effetti negativi dovuti, da un lato, al calo della popolazione attiva e, dall’altro, all’aumento della popolazione inattiva, cioè degli over 65”.
Positivo, ma in rallentamento, il dato relativo ai flussi migratori netti con l’estero. Scegliere, come soluzione, tra immigrazione o politiche che incentivino la natalità?
“Non c’è una contrapposizione. Devono essere fatte entrambe le cose. Va assolutamente incentivata la natalità perché questo favorisce anche, con opportune politiche, la partecipazione femminile al lavoro. Ma non possiamo fare a meno dei flussi migratori”.