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Colloquio telefonico fra Putin-Erdogan

Siria escalation di violenza
33 soldati turchi uccisi
Si riunisce la Nato

Ankara: "Non fermeremo più i migranti"

Colloquio telefonico per Erdogan e Putin

di Federica Pozzi28 Febbraio 2020
28 Febbraio 2020

epa07909317 Turkish soldiers with armored vehicles on their way to Northern Syria for a military operation in Kurdish areas, near the Syrian border, in Akcakale, Sanliurfa, Turkey 10 October 2019. Turkey has launched an offensive targeting Kurdish forces in north-eastern Syria, days after the US withdrew troops from the region. EPA/STR

La situazione in Siria si fa sempre più complicata, dopo il raid aereo di ieri sera che Ankara attribuisce all’esercito di Bashar al Assad, e che ha causato la morte di 33 soldati turchi a Idilib. La regione del nord-ovest della Siria è da settimane teatro di duri scontri tra le forze governative appoggiate dalla Russia e le milizie ribelli sostenute dalla Turchia.

“Non c’erano gruppi armati intorno alle nostre unità militari”, sostiene il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, respingendo la versione russa: per Mosca i militari colpiti si trovavano tra “formazioni di gruppi terroristici”.

Le truppe turche hanno risposto all’offensiva lanciando diversi missili contro un convoglio militare governativo siriano e i miliziani lealisti nel nord-ovest del Paese. Il ministro della Difesa di Ankara ha reso noto che il bilancio è di 300 soldati siriani neutralizzati – feriti o uccisi – e 200 obiettivi nemici colpiti.

Dopo l’attacco di ieri sera, il capo della comunicazione della presidenza turca aveva chiesto di “imporre una no-fly zone” sulla regione di Idlib, per “evitare un genocidio come quelli avvenuti in passato in Ruanda e Bosnia”. Secondo l’Onu sono già 950mila gli sfollati dal primo dicembre a oggi e di questi, 569mila sono bambini. E proprio dalle Nazioni Unite arriva il duro monito: “Se non si farà nulla il rischio di un’escalation del conflitto in Siria aumenta di ora in ora”.

È convocato intanto per oggi il Consiglio del Nord Atlantico, come richiesto dalla Turchia, ai sensi dell’articolo 4 del Trattato di Washington, secondo cui ogni alleato può richiedere consultazioni nel caso in cui ci sia una minaccia alla propria integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza.

Altra grave conseguenza, la decisione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di non fermare più i migranti che vogliono arrivare in Europa. Questa mattina la conferma. “Di fatto, alcuni migranti e richiedenti asilo nel nostro Paese hanno iniziato a muoversi verso i nostri confini occidentali. Se la situazione peggiora, il rischio continuerà a crescere”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri turco, Hami Aksoy.

“Fare di tutto per soddisfare l’accordo iniziale sulla zona di de-escalation di Idlib”. È il punto su cui sono d’accordo i presidenti di Russia e Turchia, Vladimir Putin e Erdogan, che, come riferisce il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, hanno avuto una conversazione telefonica in mattinata.

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