Il Regno Unito esce dall’Unione europea, e le conseguenze arrivano anche nel calcio. Quando stasera Londra lascerà la Ue, gran parte del futuro del rapporto fra europei e sudditi della Regina sarà nebuloso, in base agli accordi commerciali che le due parti raggiungeranno nei prossimi mesi. Il mondo del pallone, pur mantenendo una posizione residuale nell’opinione pubblica, non farà eccezione – scrive oggi La Gazzetta dello sport. Ma è proprio per le tante prospettive che potrebbero aprirsi, che oltre la Manica è già polemica.
La Premier League, ovvero la massima serie del campionato inglese, desidera mantenere lo status quo in quanto a stranieri. Attualmente, nella rosa di un club sono previsti 25 calciatori, di cui 17 stranieri e 8 britannici. Parametri che, però, la Football Association (la federazione di calcio inglese) vorrebbe spostare rispettivamente a 13 per la prima quota e a 12 per la seconda. “La Brexit – ha dichiarato la FA nel rapporto Access to talent discussion desk – può essere un’opportunità di crescita i nostri talenti, spesso bloccati da giocatori stranieri mediocri”. Un progetto, in sintesi, di “nazionalizzazione” sportiva, che la Premier ha già definito “radicale e speculativo” e su cui ha promesso battaglia: “Queste misure ridurranno la qualità della Premier e in generale la qualità globale del prodotto, oltre a impoverire anche le serie minori”.
Ci saranno ripercussione anche sui settori giovanili, dove la FA ha già avuto la sua vittoria. Dopo la Brexit, infatti, per le squadre non sarà possibile tesserare Under18 europei, ed è una soluzione che – nelle idee della federazione – dovrebbe favorire i ragazzi inglesi. Per quanto riguarda i “grandi”, invece, coloro che provengono da Paesi dell’Ue saranno considerati extracomunitari: per loro, sarà prevista una discriminante stabilita dal numero di gare disputate con le nazionali e dalla «importanza tecnica» del giocatore in questione.