Era il 1 novembre del 2011 quando Mario Draghi raccoglieva il testimone di presidente della Banca centrale europea da Jean-Claude Trichet. Da allora sono trascorsi otto anni, la durata di un mandato iniziato nel periodo peggiore, quello che ha seguito la grande crisi finanziaria del 2008. Proprio la crisi è stata il nemico numero uno di Draghi, impegnato a combatterne gli effetti: deflazione, recessione, crisi fiscale e bancaria di Paesi come Italia, Spagna e Grecia.
“Whatever it takes” è una frase idiomatica inglese, traducibile in italiano, a seconda del contesto, con “a qualunque costo” o “tutto il necessario”. Era il 26 luglio del 2012 quando Mario Draghi utilizzò proprio questa frase per spiegare che la Bce avrebbe fatto tutto il necessario per salvare l’euro. A quella dichiarazione è seguito l’impegno ad acquistare titoli governativi per garantire agli Stati la possibilità di finanziarsi a tassi accettabili.
Nel 2014 la Bce dà il via all’era dei tassi negativi, mentre in un discorso tenuto nell’estate dello stesso anno al meeting dei banchieri centrali, Draghi annuncia l’intenzione di immettere liquidità nel sistema economico con un programma di acquisti mensili di titoli di Stato: la politica non convenzionale del “quantitative easing”.
Oggi per Mario Draghi è arrivato il momento di lasciare a sua volta il testimone a Christine Lagarde, a cui ieri, durante la cerimonia di fine mandato, ha assicurato che sarà “una magnifica leader della Bce”. Nessun rimpianto per il presidente uscente, orgoglioso del lavoro fatto: “Oggi nessuno al governo italiano mette più in dubbio l’appartenenza all’euro”.
Le sfide che aspettano Lagarde sono molteplici: “Serve una politica monetaria espansiva ancora per anni – ha spiegato Draghi – e una capacità di bilancio dell’Eurozona, nella forma di un bilancio comune o di un’assicurazione”. Ma “se c’è una cosa di cui sono orgoglioso – ha concluso il presidente uscente – è aver sempre perseguito il mandato. Never give up”, mai gettare la spugna.