Alcuni documenti che testimoniano gli orrori del fascismo sono secretati, altri sono andati distrutti, ma molti sono nascosti. Sara Berger, insieme a Marcello Pezzetti curatrice della mostra Solo il dovere, oltre il dovere. La diplomazia italiana di fronte alla persecuzione degli ebrei 1938 – 1943 (ospitata fino al 7 gennaio 2020 alla Casina dei Vallati, vicino al Portico d’Ottavia), stava lavorando a una ricerca sulla Shoah per un istituto tedesco quando si è accorta che mancavano dei documenti.
“Consultando alcuni fondi nell’archivio centrale dello Stato ho notato che la Direzione generale della Pubblica Sicurezza riceveva documenti dal ministero degli Esteri su quello che accadeva agli ebrei nelle altre nazioni. Questi documenti, però, nei fondi che ho esaminato non c’erano”.
Berger si è recata allora presso l’archivio degli Esteri e ha mostrato i risultati delle sue ricerche. “Questi documenti dovrebbero essere qui, ma serve un codice di riferimento, non sono inventariati”, le ha risposto la funzionaria Stefania Ruggeri.
E il codice è lì, su uno dei documenti che la ricercatrice aveva mostrato: 27/869/1-50. “Vengono dall’ufficio 4 della Direzione generale, quello degli affari riservati”. È così che Sara riesce a portare alla luce materiale inedito: otto faldoni di circa 8000 pagine di inestimabile valore storico sui comportamenti dei diplomatici italiani durante la persecuzione degli ebrei.
Nella corrispondenza tra gli ambasciatori e il Ministero degli Esteri si legge che la diplomazia italiana sa cosa sta accadendo in Europa agli ebrei, perfino nei dettagli. Sa quanti sono gli ebrei deportati, quanti quelli morti e in che modo sono morti. E conose il reale obiettivo dei nazisti: sterminare tutti gli ebrei. Dino Alfieri, ambasciatore italiano a Berlino, il 3 febbraio 1943 scrive in modo eloquente a Galeazzo Ciano: “Sulla sorte a loro riservata… non possono nutrirsi molti dubbi”. Sul rapporto c’è una “M” grande in blu, il colore usato dai gradi più alti: è la “M” di Mussolini.
Dei documenti presenti alla mostra, sono molti quelli vistati dal Duce. C’è anche il rapporto inviato nel novembre 1942 al Ministero degli Affari Esteri dal generale Giuseppe Pièche, che rivela una drammatica verità. “Gli ebrei croati della zona di occupazione tedesca, deportati nei territori orientali, sono stati “eliminati” mediante l’impiego di gas tossico nel treno in cui erano rinchiusi”. Delle atrocità perpetrate dai nazisti ne parla inoltre Dino Alfieri, nel rapporto citato prima, in cui l’ambasciatore scrive che gli è stato riferito di “un ufficiale delle SS che ha confidato di aver lanciato contro un muro, sfracellandoli, bambini di sei mesi, per dare l’esempio ai suoi uomini”.
Se le immagini evocate da queste parole rimangono impresse nella mente, ci sono altri aspetti della mostra che meritano di essere approfonditi: riguardano i focus sulle diverse nazioni sotto l’influenza nazista e di come i vari ambasciatori si siano comportati durante il loro incarico.
Tra i territori analizzati vi sono quelli del Reich, la Croazia, la Francia, la Bulgaria, i Paesi Bassi, la Grecia e anche l’Ungheria. È in questo Paese che la diplomazia italiana si macchia di un atteggiamento antisemita, allineandosi ai nazisti. Il ministro plenipotenziario di Budapest, Filippo Anfuso, in una lettera inviata al sottosegretario degli Esteri Giuseppe Bastianini riporta dell’ultimo incontro avuto con il primo ministro ungherese Miklos Kàllay, che gli ha espresso le sue preoccupazioni sulle recenti pressioni dei nazisti.
“Ho sulle spalle uno dei più grossi ghetti d’Europa, quello di Budapest, con trecentocinquantamila ebrei. Mi si chiede di sperderli (così traduce Filippo Anfuso, ma in realtà il termine tedesco “ausrotten” significa “sterminare”). Io sento che non posso fare di più”. Invece di comprendere la situazione, Anfuso scrive nella lettera di aver detto a Kàllay che la sua richiesta “non poteva accordarsi con il giudizio germanico” e di averlo invitato a cambiare atteggiamento, perché altrimenti sarebbe finito tra “i nemici della Germania”.
Tra gli ambasciatori italiani all’estero c’è però chi si distingue in positivo. Zamboni e Castruccio in Grecia, Venturini in Bulgaria, hanno cercato in ogni modo di salvare gli interessi degli ebrei italiani. Zamboni si spinse anche più avanti, superando ciò che la coscienza gli imponeva, andando appunto: oltre il dovere. Non solo riuscì a evitare la deportazione di molti ebrei italiani, ma fu in grado di assegnare a persone che italiane non erano certificati di “italianità” provvisori, pur di salvarle dalle autorità naziste. “Ne emise a centinaia”, spiega Federica Onelli, funzionaria dell’Archivio storico diplomatico del Ministero degli Esteri. “E senza avere l’approvazione del governo, come racconta nel documentario in cui viene intervistato (link)”.
“Signor Console Generale”, scrive a Zamboni nel maggio 1943 un gruppo di ebrei dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana ed essere stati rilasciati dai nazisti, “i sottoscritti sono ammirati e commossi di tanta magnanimità ed elevatezza d’animo nella comprensione delle loro sofferenze materiali e morali… Memori sempre dei grandi benefici ricevuti”.
Solo il dovere, oltre il dovere è una mostra da cui emerge un’Italia spaccata in due durante il periodo fascista all’interno degli Ministero degli Esteri. Di funzionari che sono stati ligi al dovere, rispettando i dettami del regime, e di altri che hanno compreso quanto stava accadendo e compiuto il possibile per fermare la follia nazista. “Ci sono figure che sono andate oltre nel male”, commenta Sara Berger, “ma ci sono anche tante altre che sono andate oltre nel bene”.