Uno dei più grandi campioni della storia della Lazio, un fantomatico investitore ungherese, i soldi sporchi della camorra da riciclare, le minacce dei leader della Curva Nord al presidente Lotito per fargli cedere il club. È la storia della tentata scalata ai biancocelesti della Capitale.
È il 2006. Claudio Lotito ha rilevato la squadra da poco più di un anno, quando era sull’orlo del fallimento dopo il crack della Cirio del presidente degli anni d’oro Sergio Cragnotti. Da un giorno all’altro però spunta Giorgio Chinaglia: il bomber del primo scudetto, già presidente degli aquilotti nei primi anni ’80, si presenta a capo di una cordata che vuole acquistare il club.
I soldi per l’acquisto delle azioni della Lazio, società quotata in borsa, sarebbero quelli della Richter Gedeon Rt, impresa farmaceutica ungherese. Un annuncio, quello dell’idolo della Nord, che provoca forti oscillamenti in borsa del titolo della squadra. Inizia così un’inchiesta per aggiotaggio che rivela una realtà tutt’altro che limpida.
Nessuno alla Richter sapeva delle trattative per l’acquisto del club: i soldi in realtà sarebbero arrivati dalle casse del clan dei Casalesi, interessati a investire i loro fondi sporchi nel mondo del calcio. Per raggiungere l’obiettivo si erano serviti degli “Irriducibili”. Fabrizio Piscitelli, Yuri Alviti, Paolo Arcivieri e Fabrizio Toffolo, i quattro fondatori del gruppo ultras, avrebbero condotto una campagna intimidatoria verso Lotito e la sua famiglia per costringerlo a cedere la società.
Il processo di primo grado, che si è concluso nel 2015, ha portato a sette condanne: i quattro ultras, una persona legata ai Casalesi, il “portavoce” di Chinaglia e il segretario della Polisportiva Lazio.