Cosa è cambiato per chi lavora nel mondo degli assistenti sociali dopo lo scoppio del caso Bibbiano?
“Nulla in realtà, se non per il fatto che è aumentata l’attenzione mediatica attorno al no-stro lavoro”.
Le ultime proposte di legge in materia di affidamento tendono a limitare il ricorrere a questo istituto, lei crede che sia di per sé abusato?
“Non credo. Credo invece che le situazioni però vadano analizzate caso per caso. Non bisogna far ricadere tutte le responsabilità sui servizi sociali. Le segnalazioni ad esempio vengono fatte anche dalle Asl competenti. A decidere poi sono sempre i tribunali: capita che siano le corti a disporre l’affido anche per casi in cui per gli assistenti sociali non sussistono le condizioni, ad esempio laddove il minore è prossimo alla maggiore età o quando l’affido non è una condizione terapeutica sufficiente per il recupero”.
L’altro aspetto che viene criticato è quello dell’eccessivo ricorso alle proroghe ai limi-ti temporali per i periodi di affido, i 24 mesi previsti dalla legge.
“Certo, ma bisogna considerare che l’affido è una forma di recupero non solo per i ragazzi, ma anche e soprattutto per le famiglie. Il lavoro di quest’ultime è spesso difficile, si pensi ai casi di tossicodipendenza: lì a volte i canonici 24 mesi non bastano, perché magari un genitore ha delle ricadute e allora bisogna ricominciare tutto da capo”.
In alcune audizioni parlamentari si è detto che il 63% degli affidi avvengono per cause economiche, una condizione che non è prevista dalla legge.
“Credo si confonda la causa con l’effetto. Le situazioni di disagio familiare hanno le ori-gini più varie e spesso sfociano in casi di disagio materiale. Ciò non significa che basta un’aiuto economico per assistere le famiglie”.
Quanti sono i ragazzi che riuscite a collocare in famiglia rispetto a quelli che vengo-no sistemati in strutture e istituti?
“A Roma sui circa 500 ragazzi in affidamento, oltre i due terzi sono intrafamiliari e molte delle famiglie affidatarie sono effettivamente individuate tra i parenti dei giovani – così come previsto dalla legge, ndr – un modo per preservare il permanere dei rapporti familiari. Abbiamo un registro delle famiglie disponibili ad accogliere minori che hanno bisogno.
A volte però, anche se numericamente ci sarebbe la possibilità di collocare i ragazzi in famiglia, sopraggiungono incompatibilità con i nuclei familiari di destinazione ed è necessario affidarli alle strutture”.