All’indomani della storica sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato, che detta le linee guida da applicare ai casi di istigazione al suicidio, la reazione della Conferenza Episcopale Italiana non ha tardato ad arrivare.
La Chiesta prende le distanze dalla decisione della Consulta, definendo sconcertante la scelta dei giudici. L’intervista a monsignor Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara, permette di tracciare il punto di vista della Chiesa rispetto alla questione.
Cosa ne pensa della sentenza sul caso Cappato?
“Non credo che si possa fare una sentenza unicamente basandosi sul pensiero comune. In questo giorni ho sentito l’opinione pubblica sostenere il principio secondo cui ognuno è padrone di decidere liberamente della propria vita. A mio parere nessuna vita è di proprietà di qualcuno perché se vogliamo intenderla nella dimensione di fede essa appartiene al Creatore. Nessuno è proprietario o arbitro indiscusso”.
Che tipo di ragionamento ha fatto la Consulta per arrivare a questa conclusione?
“Si è basata sulla mentalità comune, non ha preso in considerazione gli alti valori sul rispetto della vita. Si proclamano principi a favore della vita degli animali e poi tutto si giustifica quando si tratta della vita dell’essere umano”.
Pensa che la Cei interverrà facendo pesare il suo pensiero?
“La Conferenza episcopale italiana ha già preso posizione in merito alla questione eutanasia e fine vita: il nostro punto di vista è abbastanza chiaro e noto a tutta la comunità”.
Secondo lei qual è il confine fra diritto alla vita e diritto a morire?
“La Corte costituzionale ha dichiarato che affinché non si commetta il reato di istigazione al suicidio è necessario che la persona esprimi la propria volontà in maniera libera e consapevole, in mancanza di questo non si potrebbe procedere. Secondo me vale il principio secondo cui nessuno può interferire sulla vita della persona o può sostituirsi ad essa rispetto alla scelta di vivere o morire”.