C’è una bellezza diversa nel nostro Paese, c’è un’Italia nascosta e inascoltata, fatta di umanità e di personaggi profondi. Emiliano Mancuso ha deciso di cercarli per tutta la vita, li ha fotografati, li ha ripresi, li ha ritratti con ogni mezzo. Li ha raccontati in bianco e nero, a colori, con le polaroid, con un blog e poi con dei documentari. Il fotografo romano è scomparso all’improvviso, il 26 settembre 2018. Per omaggiare il suo lavoro, a Trastevere, è stata inaugurata una mostra dedicata a lui: “Una diversa bellezza”. C’è il meglio di quattro suoi lavori, che vanno dal 2003 al 2018: Terre di Sud, Stato d’Italia, Il diario di Felix e Le Cicale.
Entrando nel chiostro del museo di Roma in Trastevere c’è una piccola stanza interna, sulla destra. Lì un video proiettato in loop presenta la mostra con le parole dello stesso Mancuso. Brevi video registrati da lui stesso in auto, in cui spiega l’idea di lavorare a Terre di Sud, nata quando si trovava a Termini Imerese per raccontare il licenziamento di massa della Fiat nel 2002, perché “dopo un secolo e mezzo dall’Unità d’Italia ci si ritrova ancora a parlare di questione meridionale”. Poi la scoperta della casa famiglia, la casa di Felix, e con essa la scoperta di un tempo diverso. La necessità di far abituare i ragazzi alla presenza della fotocamera, racconta ancora Mancuso. E poi tutte le sue foto personali, raccolte dai suoi affetti più cari. La moglie, i figli, i video divertenti, le foto buffe, gli amici di una vita.
Il suo lavoro in mostra
Terre di Sud è un progetto fotografico sul Mezzogiorno, portato avanti da Mancuso dal 2003 al 2008. Prende tre corridoi del museo trasteverino, con stampe incorniciate e a muro. È un racconto di un Sud che nonostante la globalizzazione è ancora costretto a fare i conti con la “questione meridionale”. Da Napoli a Cinisi, dalla Puglia alla Calabria. Da questo lavoro nasce il libro omonimo, pubblicato dalla casa editrice Postcart.
Se si devia a sinistra e si entra in una stanza più piccola, ma soprattutto più cupa, ci si ferma davanti alle gigantografie dei migranti a Lampedusa sotto la scritta “Stato d’Italia”. Un viaggio di tre anni attraverso il nostro Paese, cronache e volti della crisi economica e sociale. Dagli sbarchi sull’isola siciliana alla rivolta dei braccianti africani a Rosarno, dai ragazzi di Taranto assediati dai fumi delle acciaierie Ilva alle proteste degli studenti universitari nel 2008. Il Diario di Felix invece è un lavoro realizzato interamente a Casa Felix: una casa famiglia di Roma dove vengono ospitati sia minori del circuito penale che scontano misure alternative al carcere, sia minori civili. Il racconto di Mancuso descrive l’ultimo anno di permanenza all’interno della struttura di un gruppo di otto ragazzi. Poi Le Cicale, il suo ultimo progetto, un viaggio intimo della quotidianità di quattro persone, pensionate o prossime alla pensione, e la loro lotta per avere una vita dignitosa dopo aver lavorato fino alla vecchiaia.
Il ricordo di Pietro Masturzo
“Un bravissimo fotografo e un essere umano stupendo, questo era Emiliano Mancuso”, racconta a LumsaNews Pietro Masturzo, fotografo italiano vincitore del World Press Photo nel 2009. Quel giorno di circa un anno fa “è stato uno shock per tutti”. Emiliano “era molto attento ai soggetti che fotografava, non era uno di quei fotografi mordi e fuggi. Era uno che giocava molto sul suo rapporto con i soggetti, soprattutto nel diario di felix, lui con quei ragazzi diventa quasi un confidente, un professore, una figura di riferimento”. Secondo il fotografo napoletano “questo si sente in tutti i suoi lavori, sia nei documentari che nelle fotografie”.
“Era una persona con un’umanità incredibile e alla ricerca dell’umanità. Riusciva ad entrare nelle storie rendendo i suoi soggetti con delicatezza e onestà, senza strappare immagini shoccanti o costruite – spiega Masturzo – tutta la potenza della sua fotografia sta nell’onestà con cui racconta l’umanità”. Emiliano “era una persona eccezionale nel vero senso della parola, simpatico, coinvolgente, una chiacchierata con lui riusciva a lasciarti qualcosa ed è quello che ha fatto con il suo lavoro”.
L’Italia che ha raccontato Mancuso era “un’Italia a cui voleva tanto bene e che allo stesso tempo odiava. In qualche modo è stato un attivista”. In questo senso “Stato d’Italia è un capolavoro, un documento storico che racconta l’Italia per quel che è, dalla politica a questo Sud dimenticato. L’ho sempre stimato – prosegue il fotografo – per non essere andato a cercare le storie chissà dove. È rimasto in Italia, si è sempre concentrato sul suo Paese, sulle dinamiche che conosceva bene e ha raccontato quelle”. Poi, successivamente “si è dedicato storie molto specifiche, come la questione della devianza minorile o quella della vecchiaia”.
Per vedere la mostra c’è tempo fino al 6 ottobre, per andare a guardare l’Italia vista con gli occhi e con l’inquadratura del fotografo romano. Che poi alla fine, conclude Masturzo, “Emiliano raccontava l’Italia su cui voleva far questionare gli spettatori, raccontava l’Italia che voleva cambiare”.
Un estratto dell’intervista a Pietro Masturzo