Sono le sette e mezza del mattino e c’è già moltissima gente, fortunatamente il bel tempo aiuta. Raggiungere piazza San Pietro è un’opera impegnativa; con le transenne sono stati creati dei percorsi obbligati presidiati da migliaia di volontari con le giubbe catarifrangenti di decine di gruppi di protezione civile provenienti da tutta Italia e da uomini delle Forze dell’Ordine. Via della Conciliazione è un immenso corridoio di transenne, che non vedevamo dall’esposizione della salma di Giovanni Paolo II, che consente ai fedeli di raggiungere la piazza con il contagocce, così da evitare la ressa. In questo clima di palpabile emozione, quella che si respira nelle grandi occasioni, si levano i canti dei ragazzi che con chitarre e bandiere si avvicinano più che possono alla facciata della basilica.
Spuntano le prime bandiere argentine sventolate con leggerezza e allegria. I sudamericani, aiutati dalla comunanza linguistica, si uniscono tra loro, si sentono a casa. “Veniamo da Buenos Aires, dormiamo in un ostello lontanissimo da qui ma oggi ci dovevamo stare”, dicono alcuni ragazzi. Quando passa il Papa sulla papa-mobile scoperta per fare un giro di saluto alla piazza si levano i canti e i saluti in lingua spagnola. Il Papa è il padre di tutti e non esprime preferenze, si limita a ricambiare con un largo sorriso complice i saluti nella sua lingua. Ben altra cosa è il paese originario della sua famiglia, in Piemonte; poggiato a ridosso dell’altare, all’area riservata alle autorità civili, sta sconsolato il gonfalone di un comune con lo scudi piemontese, forse quello del paese che ha dato i natali ai genitori di Jorge Bergoglio.
Quando la processione dei cardinali che precede l’uscita sul sagrato di Papa Francesco prende posto sulle sue poltrone, la piazza è un blocco uniforme di persone, non ci sono più posti. Sventolano solo le bandiere. All’uscita del Papa sono tutti in piedi. Lui esordisce col santo del giorno, san Giuseppe, “nome del mio predecessore, di cui oggi ricorre l’onomastico” dice, e l’applauso partecipato della folla si unisce a quello più composto dei leader mondiali alla sua sinistra.
Si sviluppa una sorta di cerimoniale parallelo a quello ufficiale, fatto di canti in latino, di seminaristi dai colletti inamidati sulle poltrone dorate; la folla abbracciata ai lampioni ed in piedi sulle transenne prosegue su un’altra dimensione, fluttua, ondeggia, agita gli striscioni, decine, dell’associazionismo cattolico di tutto il mondo, un po’ bizzarro magari.
Colpiscono le bandiere dei paesi tradizionalmente non cattolici; del Nepal, della Cina, pochi, ma riconoscibilissimi, tricolori arabi. Il Papa ha terminato la sua omelia, in molti forse si aspettavano una sorta di discorso programmatico su come intenderà amministrare la Chiesa di Roma, ma Papa Francesco, andando incontro al cuore dei fedeli e deludendo forse, qualche opinionista, non ha parlato di niente di tutto ciò; ha detto messa non meno di un parroco, commentando la lettura del giorno con semplicità. Non mancherà occasione di sapere cosa farà.
“Lo aspettiamo a Rio per la Giornata Mondiale della Gioventù, ci saremo anche noi”, dicono le famiglie dei dipendenti dell’Ambasciata del Brasile presso la Santa Sede; sarà un grande incontro che ironia della sorte, era già programmato in America Latina, dove tanta gente si riunirà in un clima di fervore, forse senza precedenti per il Continente americano.
Marco Potenziani