Dopo l’ultimo episodio di cyberbullismo, accaduto in una scuola media di Lodi, dove una ragazza ha tentato il suicidio perché ricattata da un compagno di classe in possesso di sue foto intime, Ruben Razzante, docente di diritto della comunicazione e di diritto dell’informazione, spiega a che punto siamo in Italia a livello legislativo.
Episodi di cyberbullismo e revenge porn sono sempre più spesso sulle prime pagine dei giornali. A che punto siamo in Italia con l’educazione civica digitale? Ci sono leggi sul tema?
Dal punto di vista giuridico delle tutele esistono. Nel 2017 è stata approvata dal Parlamento italiano la legge sul cyberbullismo. La norma prevede una serie di tutele per le vittime dei cyberbull. Tra queste la possibilità di chiedere ai colossi della rete la rimozione di contenuti pubblicati contro la volontà dell’interessato e la possibilità di interpellare il garante della privacy, in caso di rifiuto da parte dei colossi.
È di ieri la notizia di una ragazza di tredici anni che ha tentato il suicidio in classe, dopo aver subito ricatti da parte di un suo compagno di scuola in possesso di sue foto intime.
Questo è il caso tipico di cyberbullismo dove c’è la classica spirale di ricatti. Per situazioni del genere, sempre secondo la legge del 2017, è previsto che in ogni scuola ci sia un referente scolastico con la delega di occuparsi di bullismo, in modo tale che i ragazzi abbiano la possibilità di rivolgersi a una figura interna all’istituto scolastico. Il referente, una volta ricevuta la segnalazione può intervenire riunendo le famiglie dei ragazzi per cercare di far cessare gli episodi di bullismo. Qualora non bastasse si può anche applicare una vera e propria pre-sanzione nei confronti del bullo. Le leggi comunque non bastano ad arginare il fenomeno. È infatti previsto anche un percorso che prevede momenti di formazione e di aggiornamento professionale rivolti a studenti e docenti.
Negli scorsi giorni è tornata d’attualità anche la tematica del revenge porn, con il caso della parlamentare del Movimento 5 Stelle Giulia Sarti.
Anche per casistiche come queste le tutele giuridiche ci sono. Nello specifico, le troviamo nella regolamentazione sulla privacy che vieta di trattare i dati senza consenso. Basterebbe quindi applicare le leggi che già ci sono per poter punire chi condivide video, foto e dati sensibili senza il consenso dell’interessato.
Un caso riconducibile al revenge porn, culminato in maniera tragica, fu quello di Tiziana Cantone.
I video in quel caso li aveva mandati lei alle sue amiche. Poi, alcune di loro li hanno girati ad altre persone e si è così innescato il meccanismo per cui c’erano circa diecimila pagine Facebook con sue foto e video. La ragazza non riuscì ad ottenere che venissero eliminati dalla rete quei contenuti fin quando era in vita. Solo dopo, grazie all’intervento dei genitori e della Polizia Postale, è stato possibile ottenerne la cancellazione.