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"La verità andrebbe cercata
seguendo le rotte sospette
di alcune navi della Shifco"

Maurizio Torrealta denuncia censure

all'ultima intervista di Ilaria Alpi

di Marco Valentini09 Marzo 2019
09 Marzo 2019

A general view shows activity at Somali's northern port town of Bosasso, November 24, 2008. Somali pirates holding a Saudi supertanker after the largest hijacking in maritime history have reduced their ransom demand to $15 million, an Islamist leader and regional maritime group both said on Monday. REUTERS/Abdiqani Hassan (SOMALIA)

Il giornalista d’inchiesta Maurizio Torrealta è stato coautore, con i genitori di Ilaria Alpi, del libro “Esecuzione”, dedicato proprio all’assassinio dei due giornalisti.

Un suo giudizio sull’operato della Commissione parlamentare d’inchiesta.

È molto bizzarro che un collega di Ilaria venga bloccato nel suo lavoro di ricerca. Senza nessuna imputazione, mi hanno perquisito la casa e secretato il materiale raccolto. Ritengo senza alcun motivo. Credo che il Presidente della Commissione non fosse davvero interessato alla ricerca della verità. Non era necessario sequestrare il materiale raccolto a chi si era occupato per la stessa testata dell’omicidio di Ilaria.

 

Crede che sia possibile a venticinque anni dalla vicenda giungere alla verità?

Sono fiducioso. Credo che se c’è davvero l’intenzione, si possa assolutamente fare chiarezza sulle morti di Ilaria e Miran.

 

Lei ha scritto un libro con i genitori di Ilaria Alpi. Che ricordo ha di loro?

Erano delle persone meravigliose. Mi hanno quasi adottato e sembravano felici ogni volta che andavo a trovarli. Avevano due animi nobili e mostravano una fermezza ammirevole nel battersi per ottenere la verità.

 

Quale pista ritiene si debba seguire per arrivare alla verità sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?

Io sono convinto che c’è stato un episodio in contemporanea alla presenza di Ilaria a Bosaso. Lì ha intervistato il “sultano” Abdullahi Mussa Bogor, che era a capo di un gruppo di migiurtini, che proprio in quei giorni aveva sequestrato una nave, la Faarax Omar, della compagnia Shifco, che gestiva sei pescherecci. L’esercito italiano che stava partendo da Mogadiscio, alla fine di “Restore Hope”, decide di intervenire con due elicotteri e due motovedette per liberarla. Poi ci ripensa, perché sarebbe stato abbastanza strano dal punto di vista legale che l’esercito italiano intervenisse per una nave somala in mare somalo. Quindi optano per un’altra operazione: mandano un’altra nave della Shifco e ci caricano a bordo quella roba che sarebbe stato imbarazzante avere nella Faarax Omar.

Maurizio Torrealta

A quale carico si riferisce, in particolare?

Non lo so. Se avessero sequestrato delle armi, se le sarebbero tenute. Cos’altro poteva essere? Ufficialmente quelle navi dovevano spostare il pesce dalla Somalia all’Italia. Avrebbero potuto guadagnare bene vendendo armi alle diverse fazioni in lotta su quel territorio o ottenere introiti di una certa consistenza con le scorie radioattive.

 

L’analisi delle rotte potrebbe chiarire i contorni della vicenda.

Ho guardato l’elenco dei porti toccati dalla nave madre, la 21 ottobre II, e ho visto che in realtà c’è un momento in cui non va più verso sud-est e il golfo di Aden. Fa diversi viaggi, quattordici se non sbaglio, prima della morte di Ilaria, e un paio di questi verso nord-ovest, esattamente il lato opposto alla zona in cui avrebbe dovuto operare. Tocca numerose città che sorgono nei pressi di reattori nucleari di prima generazione, che producevano scorie che nel 1994 avrebbe avuto senso eliminare.

 

Ilaria potrebbe avere sfiorato verità molto scomode.

Io non ho nessuna prova, ma se delle scorie fossero state in quella nave Ilaria ne è venuta a conoscenza realizzando l’intervista al “sultano”. Noi abbiamo visionato pochi minuti, perché è stata pesantemente censurata, non da estranei ma da persone che erano della Rai, che hanno preso quel materiale e su richiesta di qualcuno hanno provveduto a cancellare il materiale. Per non fare emergere che durante la cooperazione italiana stava avvenendo un traffico di materiale radioattivo. Sarebbe stato un inaccettabile danno di immagine, dopo investimenti ingenti.

 

Che fine avrebbero fatto le scorie?

Sarebbero state sepolte sotto una strada in mezzo al deserto o all’interno delle costruzioni realizzate per migliorare la situazione in Somalia. Ho visto ad esempio che hanno sistemato due pontili, a Gibuti e a Bosaso. Considerato che l’imprenditore Giancarlo Marocchino affermò di aver costruito il suo pontile a Mogadiscio, ricoprendo materiale tossico con il cemento, mi viene da pensare che sarebbe stato molto facile realizzare la stessa cosa anche a Bosaso.

 

Intravede soltanto responsabilità italiane?

A mio avviso al traffico internazionale di rifiuti tossici, pesantemente illegale, parteciparono diverse nazioni, come Germania, Francia e Olanda. La classica operazione dei servizi segreti stranieri che dopo la fine della guerra fredda volevano creare una fonte di profitto cospicuo. C’erano cinque membri della settima divisione, quella di Gladio, dove noi non abbiamo mai messo gli occhi. Mi raccontano che era molto peggio della Somalia: in Mozambico infatti c’è la più grande discarica del mondo. Quindi là sono proprio andati pesante, ciascuno con le sue schifezze da buttare. Non era solo un problema di commercio illegale e immorale, ma probabilmente c’era anche un terzo interlocutore, considerate le dimensioni dell’operazione. All’epoca si ipotizzarono tangenti che sarebbero andate ai socialisti e magari ad altri partiti coinvolti, e i fondi sarebbero finiti in Svizzera, ai partecipanti di quest’altra organizzazione di cui parlo. Insomma, credo che vi sia stato qualcosa di più grosso e non di unicamente italiano.

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