Oggi è la Giornata Internazionale della donna, un’occasione che non corrisponde ad una semplice celebrazione. Piuttosto rappresenta l’opportunità per manifestare, per chiedere rispetto, per chiedere uguaglianza. Tra le varie discriminazioni rivendicate dai movimenti femministi c’è quella sul mondo del lavoro e, grazie ai dati raccolti dal Cnr ed elaborati da Openpolis alla fine del 2018, emerge un quadro nitido della situazione nell’ambiente della politica italiana.
Grazie alle percentuali possiamo sapere che solo il 14% dei sindaci italiani sono di sesso femminile, mentre 2 delle 21 tra regioni e province autonome sono guidate da donne. Anche nell’attuale governo la situazione è simile. Considerando anche i sottosegretari e i viceministri, gli uomini rappresentano oltre l’80% dell’esecutivo. Il dato è il più basso dal governo Letta, picco più alto degli ultimi anni, quando comunque le donne erano meno del 30%.
Dal 2004 sono state approvate una serie di leggi, dalla Ue alle regioni, per cambiare la situazione, ma è nei comuni che troviamo la misura più forte verso il cambiamento. La legge 215 del 2012 ha infatti introdotto una serie di misure con il chiaro scopo di favorire l’equilibrio di genere negli organi di rappresentanza politica. La norma prevede che nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato con una quota inferiore al 33% e, allo stesso tempo, nel caso di doppia preferenza espressa obbliga l’elettore a individuare due candidati di sesso opposto. Questa norma non ha stravolto la situazione, ma ha portato le quote femminili nei comuni italiani da meno del 20 a più del 30%.
Il discorso sulla parità di genere è completamente diverso per le regioni, dato che non esiste una normativa unica ma si autoregolano. La notizia positiva è che il numero di donne presenti nei consigli regionali è in continuo aumento, tuttavia la percentuale è appena del 17%, anche se incoraggiante rispetto alle stime del 2000, quando erano solo l’8%.