Paul Manafort, l’ex capo della campagna elettorale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è stato condannato dalla Corte distrettuale della Virginia a tre anni e undici mesi di reclusione. Su di lui pendevano otto capi di imputazione derivanti da un processo scaturito dal “Russiagate”. È principalmente accusato di aver occultato i pagamenti per il suo lavoro di lobbista – non registrato – in Ucraina. Altri punti riportati dall’accusa sono quelli di frode fiscale e bancaria, mentre non si parla di implicazioni con Mosca.
Il quasi settantenne Manafort aveva creato un sistema per depositare su conti stranieri i soldi guadagnati dalle trattative con vari politici, mentendo alle banche sul valore effettivo del suo patrimonio. Manafort era inoltre accusato di aver ingannato gli investigatori, fornendogli informazioni false riguardo al caso che coinvolge Trump e i suoi rapporti con la Russia.
L’accusa aveva chiesto al tribunale di Alexandria una condanna tra 19 e 24 anni. Tuttavia, nonostante la richiesta, il giudice federale Ellis ha optato per una pena di minore entità. Si tratta comunque della sanzione più alta per ora inflitta nei processi generati dall’inchiesta del procuratore speciale del Russiagate, Robert Mueller. Manafort si è presentato in tribunale su una sedia a rotelle, indossando l’uniforme tipica dei detenuti. Si è inoltre lamentato delle sue condizioni di salute davanti alla Corte.
Sull’ex collaboratore di Trump pende un’altra condanna in un procedimento collaterale, dove lui stesso si è dichiarato colpevole di aver ostruito la giustizia e di aver cospirato contro gli Usa, violando inoltre l’accordo di collaborazione a causa di una serie di bugie. La sentenza definitiva per questo processo è prevista il 13 marzo.