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Schizofrenia: acido folico e vitamina B12 per combatterne i sintomi negativi

di Anna Serafini06 Marzo 2013
06 Marzo 2013

I migliori risultati riscontrati sui pazienti portatori del gene FOLH1 484T

L’assunzione di acido folico e vitamina B12 in aggiunta agli antipsicotici riduce i sintomi negativi di schizofrenia, quali apatia, asocialità  e incapacità di dimostrare le proprie emozioni. A beneficiare degli effetti degli integratori, i soggetti dotati del gene FOLH1 484T, uno tra i responsabili della digestione e metabolizzazione del folato. A rilevarlo è uno studio guidato dal Dottor Joshua L. Roffman del Massachusetts General Hospital (Charlestown, USA) e pubblicato oggi sul sito scientifico JAMA Psychiatry.

L’acido folico, noto anche come folato o vitamina B9, è necessario per la sintesi del Dna e dei neurotrasmettitori; lo si trova nelle verdure a foglia verde, nei legumi e nelle uova. La vitamina B12 ne potenzia gli effetti.

Studi epidemiologici e biochimici hanno identificato nel tempo la carenza di acido folico come una possibile causa del disturbo psichiatrico. La sua “incidenza regionale è raddoppiata due decenni dopo le carestie in Olanda e Cina, suggerendo che un consumo ridotto di folato durante lo sviluppo neurologico predispone al rischio di schizofrenia”, si legge nella ricerca del team di Roffman. Partendo da queste considerazioni, lo studio è stato realizzato con “l’obiettivo di determinare se gli integratori di acido folico e vitamina B12 riducessero i sintomi negativi della schizofrenia” – su cui gli antipsicotici non hanno effetti – “e se varianti diverse dei geni coinvolti nella digestione del folato influenzassero il risultato del trattamento”.

A tal fine, sulla base di criteri atti a garantire la scientificità della ricerca, sono stati selezionati 140 pazienti schizofrenici tra i 18 e i 68 anni, in cura presso tre centri di salute mentale di Boston (Massachusetts), Grand Rapid (Michigan) e Rochester (New York). Tra loro, su indicazione degli scienziati, 94 hanno assunto 2 milligrammi di acido folico e 400 microgrammi di vitamine B12, mentre i restanti 46 hanno preso pillole placebo dello stesso aspetto, per un totale di 16 settimane. All’inizio della ricerca, i sintomi negativi di entrambi i gruppi si attestavano a quota 30, in una scala da 0 a 100, dove quest’ultimo valore era il più alto. Avviato lo studio, un monitoraggio dello stato medico e psichico dei soggetti veniva registrato ogni due settimane con analisi in clinica.

Nonostante il gruppo sottoposto a integratori avesse registrato dei miglioramenti sul fronte dei sintomi negativi, questi non erano “statisticamente significativi” rispetto all’altro gruppo, indicano le conclusioni della ricerca. Un ulteriore dato, però, è emerso quando i ricercatori hanno analizzato la tipologia di geni coinvolti nella digestione dell’acido folico: alla variante ad alto funzionamento del gene FOLH1 erano legati i migliori risultati del trattamento. Infatti, i portatori di quello che è noto come FOLH1 484T hanno registrato una diminuzione di circa cinque punti sulla scala di valutazione dei sintomi negativi, risultato che Roffman ha definito “modesto” ma comunque “tracciabile” e che fa procedere la ricerca.

Ora si guarda in due direzioni. La prima mira alla variante a basso funzionamento del gene FOLH1 (484C) a cui sono legati livelli di folato nel sangue più bassi rispetto alla 484T. “Il folato gioca un ruolo cruciale nella metilazione del Dna, che regola l’espressione genica, perciò – ha spiegato Roffman – è possibile che i suoi effetti sui sintomi negativi agiscano attraverso cambiamenti dell’espressione genica”, che richiedono tempo. Secondo il responsabile del progetto, dunque, “i partecipanti con FOLH1 484C avrebbero potuto mostrare dei benefici dall’integrazione di folato se trattati per un periodo più lungo (più di 16 settimane, ndr), ma ciò sarà oggetto di indagini future”. Non solo. Roffman sostiene che i risultati sul FOLH1 raccolti aprono alla “necessità di approfondire il ruolo delle varianti di geni coinvolti in condizioni quali demenza  e malattie cardiovascolari, per le quali bassi livelli di folato nel sangue aumentano il rischio” di esposizione.

Anna Serafini

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