L’attesissimo disegno di legge sulla corruzione è stato approvato ieri dal Senato con 228 sì, 33 no (Lega e Idv) e 2 astenuti, e adesso aspetta soltanto di arrivare a Montecitorio. Il testo, passato con il voto di fiducia, ha visto convergere l’intera maggioranza, mentre il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha definito la legge come « forte ed equilibrata, della quale l’Italia può dirsi orgogliosa». Tra le novità presentate spiccano quelle riguardanti concussione, incandidabilità e magistrati fuori ruolo.
Le principali riforme. Resta innanzitutto il reato di concussione, ma viene scorporato in due reati distinti: il primo, la concussione per costrizione nei confronti del privato da parte del pubblico ufficiale, che avanza una richiesta in forza della sua autorità, sarà punito con una pena che va dai 6 ai 12 anni; il secondo, la concussione per induzione (quello di cui è accusato l’ex premier Silvio Berlusconi per aver telefonato in questura a Milano per far rilasciare Ruby, presentendola come la nipote di Hosni Mubarak) sarà invece punito con pene comprese tra i 3 e gli 8 anni.
Altra innovazione è poi quella relativa al tema dell’incandidabilità dei rappresentanti politici: la legge dà infatti la delega al governo a legiferare entro un anno su incandidabilità e incompatibilità dei candidati a cariche elettive se colpiti da condanne superiori ai 2 anni per delitti contro la Pubblica amministrazione. Affrontata poi la questione delicatissima dei magistrati fuori ruolo: le toghe con funzioni apicali avranno l’obbligo di dichiararsi fuori ruolo. Per le attività extra il tetto è stato fissato in 10 anni, ma sono previste deroghe. Per tutti gli altri magistrati dovrà invece essere il governo a decidere.
Le reazioni politiche. Soddisfatto il primo ministro, Mario Monti, che ha dichiarato: «Su questo disegno di legge ci ho messo la faccia. Non ho mai usato quest’espressione ma lo faccio stavolta perché una legge contro la corruzione è lo strumento fondamentale per creare attrattiva e crescita nel Paese». Più che critico l’Idv che, attraverso il presidente Antonio Di Pietro, ha definito il ddl «un salto all’indietro di 80 anni che ci riporta al codice Rocco e rende la vita molto più facile ai corrotti». Posizione diversa quella della Lega, più ambigua, che se da una parte ha votato contro la fiducia dall’altra ha approvato nel merito il provvedimento. Tra i capi della maggioranza il segretario Pdl, Angelino Alfano, si è detto «molto contento della scelta del governo di porre la fiducia, e anche perché quello sul contrasto alla corruzione è un provvedimento che porta la mia firma», mentre il segretario Pd, Pier Luigi Bersani ha parlato di «un passo avanti con, eventualmente, cose da aggiustare». Entusiasta Pier Feridnando Casini, leader Udc, che su Twitter ha succintamente plaudito all’approvazione della norma: «Finalmente la legge, non se ne poteva più, sono finite le perdite di tempo»
Il dibattito sulla stampa nazionale. Variegate le posizioni assunte dai maggiori quotidiani italiani. Di disapprovazione netta quella di La Repubblica che per mezzo di Massimo Giannini fa sapere che «questa legge non è affatto una grande svolta, ma una gigantesca occasione mancata. Innanzitutto, per quello che il testo “non contiene”. Il falso in bilancio, depenalizzato nel 2002 dal Cavaliere. Il reato di “auto-riciclaggio”, invocato inutilmente dalla Ue, dalla Banca d’Italia e dal procuratore antimafia Pierro Grasso». Il Corriere della sera, invece, mette in risalto i motivi per cui non è stato possibile fare di più, infatti, scrive Giovanni Bianconi, «il rischio di far venire meno la “strana maggioranza” che sostiene Monti ha impedito di affrontare nodi cruciali come la prescrizione, il falso in bilancio, l’autoriciclaggio, il voto di scambio».
La Stampa, poi, con un editoriale di Marcello Sorgi, si preoccupa del futuro passaggio del disegno di legge a Montecitorio, sostenendo che «è ancora presto per dire se, dopo l’approvazione al Senato, la legge potrà marciare speditamente anche alla Camera, dove il testo dovrà comunque tornare per il varo definitivo».
Didascalico, infine, Il Messaggero, su cui Paolo Pombeni scrive: «se chi è condannato in via definitiva per corruzione o reati connessi diventa incandidabile a tutti i livelli, non viene leso nei suoi diritti fondamentali, bensì sanzionato in maniera anche simbolica rispetto al dovere di moralità pubblica che incombe su chi vuole servire come rappresentante del popolo».
Fabio Grazzini