Impolverato e affamato. Rimasto per diciotto giorni chiuso nei vecchi bagni della Megaditta senza che nessuno – fatta eccezione per la moglie – se ne accorgesse. Fa ingresso così negli schermi italiani il 27 marzo di quarantacinque anni fa il ragioniere Ugo Fantozzi. Un Paolo Villaggio entrato nella storia del cinema italiano, diventando presto campione di incassi e poi inserito, durante il Festival di Venezia del 2008, nella lista dei 100 film italiani da salvare. A quasi mezzo secolo dall’uscita nelle sale Fantozzi, la pellicola diretta da Luciano Salce è sempre attuale: Ugo Fantozzi è l’incarnazione dell’italiano medio degli anni settanta. Stile di vita semplice, impiegato medio-borghese, vittima di se stesso; una moglie – Pina – scialba, e una figlia bruttina. Sempre la solita routine. “A me basterebbe imparare a perdere, non a vincere”, dice al maestro di biliardo che vuole insegnargli a giocare.
Una saga cinematografica, quella Fantozziana, che si apre nel 1975 – dopo il successo del libro di quattro anni prima – con il primo film, cui ne seguiranno altri nove e diversi registi diversi: Salce dirigerà i primi due, poi fino al penultimo Neri Parenti; l’ultimo, Fantozzi 2000-La clonazione, viene invece diretto da Domenico Saverni. Dieci uscite che hanno anticipato tematiche culturali – come il mobbing – e sono entrate così tanto nella quotidianità degli italiani, da far arrivare nel parlato espressioni come la famosa “nuvola di Fantozzi”, che perseguita ogni impiegato – scatenandogli la pioggia sopra la testa – non appena è in ferie: e così, giocare a calcetto diventa uno sport misto alla piscina, dove nuotando a rana si arriva al pallone. Oppure tanto da far entrare nei vocabolari italiani l’aggettivo “fantozziano”: nel dizionario Treccani infatti si parla «di persona: impacciato e servile coni superiori; o di accadimento: situazione ridicola e penosa».
Un uomo col capo chino, grottesco, che cede davanti ai suoi superiori. L’Onorevole Direttore Cavaliere Conte Diego Catellani che lo sfida “a stecca” a casa sua, Fantozzi (chiamato Fantocci dal capo), che non sa giocare, mangia i gessetti e liscia la palla al primo tiro; il direttore in velluto rosso che lo deride davanti agli impiegati dell’azienda: “Il suo è culo, la mia è classe, caro il mio coglionazzo”, frase storica. “Vorrei fare un tiro io adesso”, risponde il ragioniere dopo aver visto la moglie piangere: “Segni, non tre punti, 11. Coglionazzo!”. È la rivincita di Fantozzi, dell’italiano medio che ha la meglio -a biliardo- sul Direttore, 51 a 49. A stecca, così come – forse – nella vita. O forse no, perché destinati tutti a finire nell’acquario del Megadirettore Galattico, il Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam.
Una tragicommedia entrata nella storia del cinema italiano, la cui firma è la semplice e incontaminata comicità.