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Urss, 25 anni dalla caduta all’imperialismo di Putin

di Michela Eligiato21 Dicembre 2016
21 Dicembre 2016

“Chi non rimpiange l’Unione Sovietica non ha un cuore”. A sostenerlo Vladimir Putin, che sembra avvalorare il vecchio detto “Si stava meglio quando si stava peggio”.

Il 21 dicembre, a venticinque anni dall’atto finale che sancì la fine dell’Urss e che ha portato alla frammentazione in 15 Stati, il 56% dei russi, secondo un sondaggio, prova nostalgia per il comunismo. In particolare, il 43% rimpiange il ruolo di primo piano che la Russia aveva nello scacchiere geopolitico internazionale.

La storia. Il colpo di grazia che ha permesso la dissoluzione dell’Unione Sovietica arrivò l’8 dicembre 1991, con la firma del Trattato di Belavezha. A firmarlo Shushkevich, leader dei Soviet bielorusso, il presidente ucraino Kzavchuk e quello russo Eltsin.

Il 25 dicembre, dopo la dichiarazione della fine dell’Unione Sovietica “come entità politica e giuridica”, Gorbaciov si dimise dalla carica di premier abolendo l’ufficio della presidenza. Tutti i poteri passarono a Eltsin, in quanto leader della Russia, lo Stato che sostituì l’Urss.

Oltre alla bandiera sovietica ammainata e sostituita dal tricolore sopra il palazzo del Cremlino, il primo gennaio 1992 il premier di allora, Igor Gaydar, introdusse la liberalizzazione dei prezzi, introducendo l’economia di mercato in Russia. Ma il passaggio da un’economia socialista a una capitalista, non è stato indolore ed ha segnato gli anni Novanta con l’epiteto di “selvaggi”.

È proprio l’economia il centro nevralgico dell’idea – forse del sogno? – di una confederazione di Stati, soprattutto in questo momento storico in cui la competizione è fra blocchi ben definiti.

“Una nuova Urss sarebbe possibile” afferma Gorbaciov in una recente intervista.
“Ho combattuto per la sua salvezza fino alla fine”, continua l’ex presidente dell’Urss, per sottolineare come il ricordo degli anni difficili e crepuscolari del comunismo non sia del tutto sbiadito.

Di fatto, l’Unione euroasiatica di Putin sembra andare in quella direzione. Nell’incontro del 2016, il leader russo ha infatti delineato il suo progetto di unire l’intero continente euroasiatico, chiedendo oltre che quella cinese anche la partnership europea.

“Abbiamo ereditato dall’Unione Sovietica l’idea di unire l’economia euroasiatica”, aveva infatti affermato al congresso Putin. La Cina sembra voler aderire, soprattutto per portare a compimento il suo progetto della “Via della Seta”, ma l’Europa, forse anche per ragioni storiche (ricordiamo il simile programma di Molotov negli anni ’50), è poco incline a questa unione.

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