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Ancora scontri e tensione in Egitto. Intervista a Maria Gianniti, inviata Rai al Cairo

di Leonardo Rossi12 Luglio 2013
12 Luglio 2013

Sale la tensione in Egitto: questa mattina sono stati emessi dieci mandati di cattura per istigazione all’omicidio e violenza contro appartenenti alla Fratellanza Musulmana. Intanto i sostenitori e oppositori del deposto presidente Mohamed Morsi saranno di nuovo in piazza oggi, primo venerdì di preghiera del Ramadan. Tesa anche la situazione nel Sinai: stamattina un poliziotto è stato ucciso proprio al confine con Israele.
Hamas resta al centro del mirino in Egitto e si monitora la stabilità del regime siriano. Di tutto questo abbiamo parlato con Maria Gianniti (nella foto), inviata esteri del Gr Rai al Cairo.

Cosa pensa della decisione americana di rimodulare gli aiuti militari all’esercito egiziano?
“L’amministrazione americana, come altri paesi, non poteva non intervenire rispetto a quanto sta accadendo; si sono potute ascoltare le dichiarazioni del portavoce del Dipartimento di Stato che a fronte di milioni di egiziani che sono scesi in piazza contro Morsi, ha voluto spiegare che non si può dire di essere in una situazione di democrazia . Non è democrazia semplicemente perché si sono vinte elezioni. Non ha detto che Morsi fosse antidemocratico, ma ha fatto capire che democrazia è anche mobilitazione di massa e che quindi è quasi giustificato. Però esiste ancora una difficoltà nel definire la situazione come golpe. Dare una definizione del genere è in qualche modo compromettente; però si è visto che c’è molto disagio rispetto agli arresti di massa avvenuti proprio questa mattina. Inoltre, ancora questa mattina delle fonti anonime stanno parlando di Hamas come l’organizzatore della fuga di Morsi dalle prigioni di Mubarak nel 2011. Per questo motivo potrebbe essere spiccato un mandato d’arresto con l’accusa di tradimento. È ovvio, comunque, che Obama si ponga il problema: è più democratico un presidente eletto oppure è più “democrazia” che l’esercito sia intervenuto, raccogliendo una richiesta del popolo egiziano. Ma comunque, nella risposta a questi interrogativi, si cerca di usare un linguaggio diplomatico. Intanto, però, la cooperazione e gli aiuti continuano”.

Riguardo alla Siria, non crede che Obama usi due pesi e due misure?

“Si tratta di due realtà ben diverse. L’Egitto ha un peso diverso rispetto a degli equilibri che interessano maggiormente gli Stati Uniti. Si pensi, ad esempio, a Israele. Proprio questa mattina ci sono state delle nuove schermaglie nella zona del Sinai: degli islamisti hanno sparato contro dei check point israeliani andando ad aumentare la tensione. In siria ci sono altri equilibri, altre dinamiche: qui la caduta del regime siriano comporterebbe a catena una destabilizzazione dell’intera area. A cominciare dal Libano che di fatto è sull’orlo di una nuova guerra civile. Una caduta di Bashar el Assad avrebbe delle ripercussioni importanti anche in Iran. Gli States devono guardare anche all’impatto che questa evenienza avrebbe su tutta la regione”.

C’è una sinergia tra la politica estera americana e quella israeliana o si notano delle discrepanze?

“Esiste ancora una grande sintonia tra i due paesi. La preoccupazione israeliana rispetto a quello che accade in Egitto si riflette, a cascata, sulle scelte americane: è sempre stato così. Non si cambia per niente su questo fronte”.

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