Sta passando colpevolmente sotto silenzio – in Italia e nel resto d’Europa – il decimo anniversario degli attentati alla rete ferroviaria regionale di Madrid, che l’11 marzo 2004, con una serie coordinata di esplosioni, provocarono 191 morti e oltre 2mila feriti in vari treni e stazioni, a cominciare da quella di Atocha, bersaglio principale degli attentatori. La strage fu compiuta da uomini di Al Qaeda come ritorsione nei confronti dell’appoggio spagnolo, l’anno precedente, alla guerra del Presidente americano George W. Bush all’Iraq di Saddam Hussein.
Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’attentato il popolo spagnolo, profondamente sconvolto da quanto accaduto, scese in piazza in tutte le città – compresa la storica “rivale” Barcellona – con grandi manifestazioni spontanee in cui mise da parte le tradizionali diversità interne al grido di «Siamo tutti madrileni» ed «Eravamo tutti su quei treni».
Di fronte al primo attentato terroristico di matrice islamica sul suolo europeo – l’anno successivo Al Qaeda avrebbe purtroppo fatto il bis nella metropolitana di Londra – per una volta i quindici Stati allora appartenenti all’Unione reagirono in maniera compatta, esponendo tutti insieme la bandiera a mezz’asta per tre giorni. Alla manifestazione ufficiale del 12 marzo, oltre alle autorità spagnole, parteciparono anche il presidente della Commissione europea, Romano Prodi; i primi ministri di Italia (Berlusconi), Francia (Raffarin) e Portogallo (Barroso); ed i ministri degli Esteri degli altri Stati membri del’Unione, oltre che del Marocco.
Tre giorni dopo l’attentato il Governo spagnolo uscente, guidato dal popolare conservatore José Maria Aznar, che aveva puntato in un primo momento sulla “pista interna”, accusando ingiustamente i terroristi baschi dell’Eta, fu battuto nettamente alle elezioni generali dal socialista José Luis Rodriguez Zapatero, che divenne il nuovo primo ministro.
Di Alessandro Testa