La paga percepita dai lavoratori in nero variava in base al colore della pelle: i “bianchi” avevano diritto a 10 euro in più degli africani, 35 euro contro 25 al giorno. Due fratelli sono stati arrestati nel Cosentino in un’operazione contro il caporalato. I due sono ai domiciliari accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravati dalla discriminazione razziale. Ai due fratelli di 48 e 41 anni è stata anche sequestrata l’azienda ed altri beni dal valore complessivo di due milioni di euro circa.
Da quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri della stazione di Amantea, i due imprenditori facevano lavorare in nero nella loro azienda agricola migranti africani, oltre a romeni e indiani.
Le indagini dirette dalla pm Anna Chiara Fasano, e coordinate dal procuratore di Paola Pierpaolo Bruni, avrebbero chiarito che i rifugiati, provenienti principalmente dalla Nigeria, dal Gambia, dal Senegal e dalla Guinea Bissau, venivano solitamente prelevati in una via parallela al centro di accoglienza “Ninfa Marina” e portati a lavorare nell’azienda.
“Quanto scoperto in Calabria lascia sgomenti”, ha commentato il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. “Lo sfruttamento del lavoro con l’aggravante della discriminazione razziale è intollerabile sotto ogni punto di vista”, ha aggiunto l’esponente del Governo, che ha ringraziato le forze dell’ordine “per il forte lavoro di contrasto all’inaccettabile piaga del caporalato in agricoltura”. Martina ha evidenziato infine che “casi come questo dimostrano ancora una volta quanto fosse necessaria la nostra legge per tutelare ovunque e prima di tutto la dignità e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori agricoli”.