Eros Mischi, 92 anni, durante le feste natalizie ha preso carta e penna e ha scritto al Corriere una lettera che ha poi affidato alle Poste, senza passare dall’affollato mondo del web. Poche righe per raccontare la storia di sua moglie e di una degenza senza fine.
“È una statua che respira, da alimentare, ripulire, alzare, allettare, issare e rivoltare”, si legge nelle parole di Eros. Si fa carico di questo da solo, per non sconvolgere anche le vite dei suoi tre figli, non senza fatiche; provvedere ai costi della degenza – dal 2012 sua moglie, dopo diversi trasferimenti di Ospedali e la diagnosi di Alzheimer, è in coma – significa vedersi portata via l’intera pensione: ottanta euro al giorno, duemilaquattrocento ogni mese.
La sua lettera si conclude così: «Ben venga l’eutanasia, che ponga fine per entrambi alle nostre tribulazioni. Per favore, fateci morire!». Eros arriva a parlarne perché vorrebbe restituire “dignità” a sua moglie: l’assistenza delle persone in coma è affidata a una cooperativa, «come per le pulizie», scrive.
Quella di Eros sembra legata ad altre storie da un invisibile filo, rievoca nella memoria casi simili in cui l’opinione pubblica è stata scossa per la richiesta di eutanasia, come quello di Eluana Englaro o Piergiorgio Welby.