“Controllare lo stato di decomposizione dei cibi prima di ingoiarli”, “Lasci i tuoi peli nel bidè per motivi religiosi?”, “Per favore, quando passi dal ferramenta compra uno scalpello, dobbiamo rimuovere i tuoi sputi di dentifricio calcificati nel lavandino”. Avere un figlio “sdraiato” secondo Michele Serra, è un passaggio inevitabile, doloroso ma anche esilarante. Quel passaggio in cui non si riesce a capire se ciò che alberga nella mente dei propri figli sia il nulla cosmico o un universo pronto a esplodere. Quel passaggio in cui, da bambino dolcissimo e affettuoso, il figlio che hai allevato si trasforma in una creatura mitologica: l’adolescente sepolto nel cappuccio della felpa, mollemente sdraiato sul divano, lo sguardo fisso sul cellulare (naturale prolungamento del braccio), e il pollice che scorre su e giù in una specie di moto perpetuo.
Il libro, edito nel 2013 da Feltrinelli, arriverà nelle sale il 23 novembre in un film diretto da Francesca Archibugi e interpretato da Claudio Bisio. “Il film non è generazionale – dice la Archibugi -. Non raccontiamo sensi unici, non generalizziamo mai quando raccontiamo una storia. È più il titolo di Michele Serra che rende il film generazionale, “Gli sdraiati”, ma io l’ho interpretato come un racconto individuale”. “Il titolo è simbolico e in qualche modo inesatto perché sembra un’accusa di un padre ad un figlio mentre il film, ma secondo noi anche il libro di Serra, in realtà è un cammino verso il riconoscimento dell’opposto, cioè di una generazione diversa capace di un passo avanti” le fa eco Francesco Piccolo, sceneggiatore.
Definirlo scontro generazionale sarebbe riduttivo, gli scontri del libro sono silenti e si giocano sul filo delle parole, quelle intessute da Michele Serra, scarabocchiate sui biglietti sparsi per casa con la speranza che il figlio li trovi. Eppure il personaggio del libro e quello del film condividono lo stesso sguardo preoccupato comune a tutti i genitori che guardano i figli di quell’età come fossero delle bombe ad orologeria. Eternamente combattuti tra la paura di amarli troppo e quella di non amarli abbastanza. Un conflitto che lascia spazio alla tranquillità quando si arriva alla profonda consapevolezza che quei figli sono in realtà migliori di come appaiono. E ci si sente quasi liberi, finalmente, di invecchiare.